Un ex pizzaiolo racconta di aver consegnato due buste a Liliana poco prima della scomparsa. La nuova pista potrebbe rivelarsi decisiva per l’indagine.
Trieste – Tre anni dopo la morte di Liliana Resinovich, un particolare apparentemente insignificante potrebbe rivelarsi cruciale per risolvere il mistero. L’ex gestore di una pizzeria ha rivelato agli inquirenti che la 63enne, poco prima di scomparire, gli avrebbe richiesto due buste della spazzatura chiedendogli esplicitamente discrezione.
La donna sparì dalla sua abitazione il 14 dicembre 2021. Tre settimane più tardi, il 5 gennaio 2022, il suo cadavere venne scoperto avvolto in sacchetti neri nell’area boschiva dell’ex ospedale psichiatrico cittadino.
Alfonso Buonocore, che da oltre quattro decenni vive a Trieste pur essendo nativo della Costiera Amalfitana, gestiva un locale abitualmente frequentato dalla coppia. Solo recentemente, dopo aver assistito a una trasmissione televisiva dedicata alla vicenda, ha deciso di contattare le autorità per riferire ciò che ricordava.
Secondo la sua versione, mentre eliminava la spazzatura all’esterno del ristorante, Liliana si avvicinò chiedendogli se potesse acquistare una delle buste che stava utilizzando. “Gliene recuperai una, la infilò rapidamente nella borsa prima che giungesse Sebastiano“, ha raccontato. Il giorno successivo, la richiesta si ripeté.
“Entrammo nel locale perché le temperature erano basse, le preparai un espresso e le diedi un’altra busta. Tentò di pagarmi mezzo euro, rifiutai dicendo che l’avrei aggiunto al conto del marito. A quel punto mi pregò di non menzionare l’accaduto con alcuno”, ha precisato il ristoratore. Questi sacchi, di qualità particolarmente resistente, provengono da un’azienda fornitrice della zona gradese, e Buonocore ne possiede ancora alcuni dello stesso lotto.
L’elemento che ha spinto Buonocore a parlare riguarda proprio gli involucri ritrovati sul cadavere: due sacchetti neri che hanno rappresentato fin dall’inizio uno degli aspetti più discussi dell’inchiesta. Gli specialisti della scientifica li hanno classificati come buste in cellophane nero, una delle quali misurava 106×75 centimetri, l’altra 100×70.
Le verifiche tecniche effettuate su ogni superficie – margini, lato interno ed esterno – hanno dato esiti sorprendenti: nessuna impronta digitale rilevata, nemmeno quella della vittima. Sono state isolate tracce del DNA di Liliana, ma nessun elemento utile per identificare eventuali contatti con altre persone.
Un particolare che sembrava promettente – quello che inizialmente appariva come il segno lasciato da un guanto – si è rivelato essere semplicemente l’impronta della trama del tessuto dei jeans indossati dalla donna. L’unica traccia biologica maschile è stata trovata sul cordino che legava insieme i due sacchetti più sottili posizionati sul capo: il confronto con il profilo genetico del marito Visintin e di altri soggetti collegati all’indagine ha però escluso ogni corrispondenza.
L’ex pizzaiolo ha spiegato che all’epoca dei fatti un amico carabiniere lo avrebbe sconsigliato dal coinvolgersi nella vicenda. “Mi disse di tenermi alla larga da quella storia”, ha riferito. Solo ora, mosso dal desiderio di contribuire alla risoluzione del caso, ha deciso di rendere nota la sua testimonianza, che verrà formalizzata attraverso una registrazione audio da consegnare alla Squadra Mobile.
Resta da verificare se i sacchi che conserva corrispondano effettivamente a quelli rinvenuti sul corpo. Gli investigatori dovranno confrontare i campioni per stabilire eventuali collegamenti con quanto raccontato dal testimone.
Il caso sta vivendo una nuova fase investigativa dopo che il giudice Dainotti ha bocciato la richiesta di chiusura del fascicolo avanzata dalla Procura. La magistrata Mangiante ha quindi nominato un nuovo gruppo di esperti – Paolo Fattorini, Chiara Turchi ed Eva Sacchi – per condurre la terza serie di analisi tecniche sui materiali repertati.
Nicodemo Gentile, avvocato di Sergio Resinovich (fratello della vittima), ha espresso un giudizio netto: “L’identità del colpevole è già negli atti processuali, bisogna solo arrivare in fondo”. Il legale ha richiamato l’attenzione su alcuni elementi che ritiene decisivi: il cordino sequestrato e soprattutto i filmati della action cam riferibili al 14 dicembre, sui quali esisterebbero anomalie e interruzioni già segnalate agli investigatori.
L’unico nome iscritto nel registro degli indagati rimane quello di Sebastiano Visintin, marito della vittima.