Quello dell’Irpinia un sisma di serie B

Considerata una delle catastrofi più drammatiche del Bel Paese, quella del terremoto dell’Irpinia non ha mai ricevuto il riconoscimento che meritava. Anzi, la verità è sempre stata distorta.

Il 23 novembre 1980 era una domenica, proprio come quella appena trascorsa. Una domenica qualunque, fatta di cene in famiglia, televisori accesi, voci nelle stanze. Poi, alle 19:34, la terra si spezzò. Case, paesi, vite: tutto venne spazzato via in pochi secondi. Quarantacinque anni dopo, quella domenica non è mai finita davvero. Continua a vivere nei ricordi di chi era lì, nelle fotografie sbiadite, nei vuoti familiari, nei paesi rinati e mai più gli stessi.

Eppure, nonostante la portata immensa di quella tragedia, il terremoto dell’Irpinia non ha mai ricevuto il riconoscimento pieno che meritava. Anzi: nella memoria pubblica è stato spesso schiacciato da una narrazione distorta, ridotto a simbolo di sprechi e corruzione, come se quei crimini – commessi dopo – potessero cancellare il dolore di allora. Come se la dignità delle vittime potesse essere sporcata dai peccati di altri.

Quel terribile sisma: una ferita ancora aperta

Le popolazioni irpine furono vittime due volte, tre volte: vittime del terremoto; vittime degli sprechi e delle lentezze che sottrassero soccorsi rapidi e ricostruzione dignitosa. Vittime dell’oblio, quando il Paese scelse di ricordare la corruzione invece delle persone. Un meccanismo purtroppo riconoscibile: accade quando la vittima smette di essere vista come tale per colpa dei carnefici, delle omissioni, della disorganizzazione di chi era tenuto a proteggerla.

È la stessa dinamica che vivono le vittime di violenza oggi, quelle istituzionali. Quelle che chiedono aiuto e vengono ignorate, screditate, trasformate in un problema da gestire, non in un essere umano da tutelare. Come se la loro dignità dipendesse dai comportamenti dei responsabili, e non dal dolore che hanno subito. Anche in Irpinia accadde così.

Eppure, in quelle ore iniziali – in quella domenica notte che sembrava non finire mai – ci furono uomini e donne che agirono con una grandezza rimasta senza nome. Imprenditori del posto, con mezzi propri, scavatori, camion, operai. Gente comune che, isolata dal mondo, organizzò i primi soccorsi mentre lo Stato arrivò giorni dopo.

Scavarono a mani nude, misero in sicurezza case pericolanti, tirarono fuori vivi e morti dalle macerie, aprirono strade ostruite, crearono punti di raccolta e calore. Non hanno mai ricevuto un encomio. Eppure senza di loro il numero delle vittime sarebbe stato immensamente maggiore. Da quella tragedia – dal dolore degli Irpini, dalla loro solitudine e dalla loro forza – nacquero molte delle strutture della moderna Protezione Civile, i sistemi di emergenza, le procedure di soccorso e gli aiuti di Stato.

Fu la sofferenza dell’Irpinia a insegnare all’Italia che un Paese non può permettersi la disorganizzazione davanti alla vita e alla morte. E allora come possiamo, oggi, ridurre tutto ad uno stigma? Come possiamo dimenticare la dignità di chi ha perso tutto e ha ricostruito tutto, mentre altri rubavano risorse, slancio, tempo, futuro?

Ma è davvero finita la ricostruzione?

La verità è semplice e dura: la dignità della vittima non è negoziabile. Non dipende da ciò che fanno i carnefici, ma da ciò che la vittima subisce. Non può essere sporcata da chi la tradisce, la ignora, la usa o la dimentica. Gli Irpini non sono un simbolo di spreco. Sono un simbolo di perdita, di forza, di coraggio civile. E meritano la stessa dignità che riconosciamo a tutte le vittime dei disastri, delle tragedie e delle omissioni dello Stato.

A quarantacinque anni da quella domenica, il nostro compito è questo: rimettere al centro le persone, restituire la loro storia, riparare il mancato riconoscimento, restituire la dignità negata. Perché la dignità non crolla sotto le macerie: la si perde quando chi deve proteggerla decide che non vale lo sforzo.

Ha ancora senso dopo 45 anni raccontare il dolore delle vittime e i loro atti di eroismo? Sì, non è mai troppo tardi per la Verità.