La tragica storia di Loredana Calì, giustiziata dall’ex

Due colpi di pistola, uno alla testa e uno al cuore, per punire la donna che aveva scelto di lasciarlo. Così Filippo Marraro ha ucciso la madre dei suoi figli.

Enna – Si è chiusa definitivamente con una condanna a trent’anni di reclusione la vicenda giudiziaria di Filippo Marraro, il meccanico 54enne di Catenanuova che nell’aprile 2019 uccise la sua ex compagna Loredana Calì. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dalla difesa, rendendo definitiva la sentenza già confermata in appello.

Un iter processuale particolarmente rapido ha caratterizzato la vicenda: dall’omicidio alla sentenza definitiva sono trascorsi solo tre anni e sette mesi, attraversando tutti e tre i gradi di giudizio. Un tempo brevissimo per gli standard della giustizia italiana, che ha visto concludersi rapidamente un caso in cui le responsabilità erano emerse fin da subito con chiarezza.

La tragedia si consumò il primo aprile del 2019 nelle campagne del piccolo comune ennese. Quel giorno Marraro attese l’ex compagna sotto casa, sapendo che sarebbe uscita per recarsi al lavoro. Quando la donna apparve, l’uomo le puntò contro una pistola, costringendola a salire in auto. La vittima fu costretta a guidare verso la proprietà di campagna della sua famiglia.

Giunti davanti al cancello della casa, l’uomo ordinò alla vittima di scendere dal veicolo e di inginocchiarsi. Loredana supplicò per la propria vita, chiese pietà, offrì di chiedere perdono. Ma le preghiere non servirono a nulla. Marraro sparò due colpi: uno alla testa e uno al cuore. La donna, madre di due figli avuti proprio dall’omicida, morì sul colpo.

Dopo aver consumato il delitto, il meccanico mostrò una lucidità agghiacciante. Telefonò ai familiari della vittima per comunicare quanto aveva fatto, poi contattò un conoscente spiegandogli che non avrebbe potuto partecipare a un raduno di motociclisti perché aveva appena ammazzato la sua ex. Infine chiamò i carabinieri e attese il loro arrivo per costituirsi.

La coppia aveva convissuto per diciotto anni e dalla loro unione erano nati due bambini. La separazione era avvenuta alcuni mesi prima del delitto. Loredana aveva deciso di lasciare definitivamente Marraro trasferendosi dalla madre. Una scelta che l’uomo non aveva mai accettato, covando un rancore che sarebbe poi esploso in modo tragico.

Nel piccolo centro di Catenanuova, circa cinquemila abitanti, molti sapevano della violenza che caratterizzava il rapporto tra i due. Il parroco, dopo il delitto, aveva dichiarato che in paese si sapeva che Marraro fosse violento con la compagna. Tuttavia la donna non aveva mai sporto formale denuncia alle autorità.

Il primo grado di giudizio si celebrò con rito abbreviato davanti al giudice per le udienze preliminari di Enna, Maria Luisa Bruno. La scelta processuale dell’imputato non gli risparmiò una condanna pesante: trent’anni di reclusione. I pubblici ministeri Daniela Rapisarda e Orazio Longo avevano chiesto l’ergastolo, evidenziando la premeditazione e la crudeltà del gesto.

Le accuse contestate furono molteplici: omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, sequestro di persona e detenzione illegale di arma da fuoco. Emerse infatti che Marraro aveva acquistato la pistola, con matricola abrasa, in un mercatino di Catania. Un elemento che confermò come l’uomo avesse preparato il delitto con largo anticipo.

La difesa tentò di far valere problemi psichiatrici dell’imputato, che soffriva di depressione e in passato aveva assunto psicofarmaci. Tuttavia la perizia psichiatrica disposta dal tribunale riconobbe che al momento dell’omicidio Marraro fosse perfettamente in grado di intendere e volere, smontando così la strategia difensiva.

La Corte d’assise d’appello di Caltanissetta confermò integralmente la sentenza di primo grado. I giudici di secondo grado non trovarono elementi per rivedere la valutazione del caso, ritenendo corretta la ricostruzione dei fatti e la qualificazione giuridica delle condotte.

L’ultimo tentativo della difesa si infranse contro la decisione della Cassazione che ha posto la parola fine sulla vicenda processuale. La Suprema Corte ha inoltre condannato il responsabile al risarcimento delle parti civili costituite nel processo.

Tra le parti civili figurano innanzitutto i due figli della coppia, rimasti orfani di madre per mano del padre. Accanto a loro si sono costituiti la sorella e altri familiari di Loredana, assistiti dagli avvocati Andrea Di Salvo, Luigi Spinello ed Egidio La Malfa. Nel processo sono intervenute anche due associazioni impegnate nel contrasto alla violenza di genere: “Co.Tu.Le.Vi” (Contro Tutte Le Violenze), rappresentata dall’avvocato Eleanna Parasiliti Molica, e “Donne insieme – Sandra Crescimanno”, con l’avvocato Giusi Fioriglio.