Medici Senza Frontiere torna in mare e intercetta un gommone sovraccarico con minori, donne e profughi fuggiti da Sudan e Libia.
La nuova nave di Medici Senza Frontiere, Oyvon, ha completato la sua prima missione riportando a terra 41 persone soccorse e trasferite a Lampedusa.
L’imbarcazione segna il ritorno dell’organizzazione nelle operazioni di salvataggio dopo l’addio forzato alla Geo Barents, bloccata da fermi e restrizioni che avevano reso impossibile proseguire le attività. Oyvon, più piccola e veloce, è progettata per muoversi con rapidità, rispondere prima alle richieste d’aiuto e rientrare tempestivamente in porto, come richiesto dalla normativa che consente un solo salvataggio per missione.
Il suo intervento è stato essenziale per raggiungere un gommone alla deriva, individuato dopo 36 ore di ricerca senza sosta. La segnalazione era arrivata dall’aereo Eagle1 di Frontex e successivamente confermata da Alarm Phone, ma localizzare l’imbarcazione non è stato semplice: l’equipaggio ha scandagliato il mare con binocoli e strumenti di bordo fino a intercettare la piccola sagoma tra le onde.
A bordo c’erano persone esauste dopo tre giorni in mare: tre donne, quattordici minori – tra cui un neonato – e nove adolescenti in viaggio da soli. Tutti fuggivano da Sudan e Sud Sudan, dopo aver subito lunghi periodi di violenze e abusi in Libia. Tra loro anche il passeggero più fragile: un bimbo di meno di un anno, stretto alla madre su un gommone minuscolo e sovraccarico, che difficilmente avrebbe raggiunto la terraferma senza aiuto.
Su indicazione delle autorità italiane, Oyvon ha diretto la rotta verso Lampedusa. Lo sbarco è avvenuto lentamente: uno dopo l’altro i naufraghi hanno toccato il molo, ancora provati e instabili, ma con la certezza di essere ormai al sicuro.