L’Autorità smentisce le cifre su stipendi e costi di rappresentanza: “Bilancio trasparente e attività intensa a tutela dei cittadini”.
Roma – Cinquanta milioni di euro ogni anno. È il costo che lo Stato sostiene per mantenere in funzione il Garante per la protezione dei dati personali, l’autorità indipendente incaricata di tutelare la privacy dei cittadini. Una cifra finita sotto i riflettori dopo l’anticipazione della trasmissione Report e un articolo de Il Fatto Quotidiano, che hanno sollevato dubbi sull’effettiva autonomia dell’ente e sulla proporzionalità delle sue spese.
Secondo quanto riportato, l’84% del budget sarebbe destinato al personale, con stipendi da 250mila euro per ciascun componente del Collegio e spese di rappresentanza che sfiorerebbero i 400mila euro annui. A queste si aggiungerebbero voci singolari come 10mila euro per generi alimentari, 6mila euro per custodie porta-cellulari regalate ai carabinieri, e una giacenza di cassa di oltre 95 milioni di euro, accumulata in atti di trasferimenti statali non spesi.
Ma il Garante ha risposto punto per punto con una nota ufficiale, contestando cifre, interpretazioni e metodo. “Indicare numeri e costi senza rappresentare l’attività svolta è un esercizio sterile e fuorviante”, si legge nel documento. Solo nel 2024, l’Autorità ha gestito oltre centomila tra segnalazioni e reclami per presunte violazioni della privacy, intervenendo in ambiti che spaziano dalla vita personale a quella professionale, dal mercato alla democrazia.
Sul fronte delle spese di rappresentanza, il Garante chiarisce che la voce indicata da Report (E2.1.2.01.02) include rimborsi per il personale amministrativo, partecipazione a convegni e attività istituzionali e non riguarda il Collegio. I dati ufficiali parlano di zero euro nel 2024, poco più di seimila euro nel 2023 e cifre ancora più basse negli anni precedenti. L’asserzione secondo cui tali spese ammonterebbero a 400mila euro è dunque smentita dai documenti contabili.
Anche i compensi del Collegio sono regolati per legge: l’articolo 153 del Codice Privacy stabilisce che al presidente e ai componenti spetti un’indennità pari a quella del primo presidente della Corte di Cassazione, in linea con le altre autorità indipendenti. I rimborsi ufficiali per il Collegio nel 2024 ammontano a circa 200mila euro, ben lontani dalle cifre ipotizzate.
La nota interviene anche sulle spese alimentari, precisando che i 10mila euro indicati si riferiscono all’acquisto di acqua in boccioni per il personale, con meno di 4mila euro effettivamente liquidati. Quanto agli astucci porta-cellulari, la spesa di circa 6mila euro è legata a un contratto di permuta con l’Arma dei carabinieri per l’uso di aule concorsuali. Non si tratta di gadget, ma di dotazioni permanenti per la sede di Tor di Quinto, una pratica corrente tra pubbliche amministrazioni per evitare dazioni dirette di denaro.
Sul tema della giacenza di cassa, il Garante chiarisce che l’importo citato fa riferimento all’avanzo di amministrazione presunto alla fine del 2024, pari a circa 94 milioni di euro, ma che l’avanzo effettivamente disponibile è di 65 milioni. Inoltre, le risorse finanziarie non sono gestite su conti correnti bancari autonomi, ma presso la Tesoreria unica dello Stato, come previsto dalla legge. Il bilancio è soggetto al controllo della Corte dei conti e le spese di funzionamento sono a carico esclusivo del bilancio statale.
Infine, il Garante difende la percentuale destinata al personale, definendola fisiologica per un’amministrazione pubblica. Lo stesso dato si riscontra per l’Antitrust, mentre l’AGCOM si attesta al 76%. Il trattamento economico dei componenti del Collegio è omnicomprensivo, salvo i rimborsi documentati per attività istituzionali e non eccede i limiti previsti dalla normativa per le retribuzioni pubbliche.
Il Garante rivendica trasparenza, legalità e rilevanza dell’attività svolta, mentre i detrattori sollevano dubbi sull’efficienza e sull’indipendenza di un organismo che dipende interamente dai trasferimenti governativi.