Crollo ponte Morandi, pm chiede il massimo della pena per Castellucci

L’accusa: “Sacrificò la sicurezza per i profitti, ignorò gli allarmi dal 2009 e non imparò nemmeno dalla tragedia di Aqualonga”.

Genova – Il pubblico ministero Walter Cotugno ha chiesto 18 anni e 6 mesi di carcere per Giovanni Castellucci, che ai tempi del disastro del 14 agosto 2018 guidava Autostrade per l’Italia e Atlantia. Sul banco degli imputati ci sono in tutto 57 persone chiamate a rispondere della morte di 43 persone nel crollo del viadotto Polcevera.

Il magistrato ha spiegato la difficoltà di affrontare un procedimento di questa portata. “Normalmente nei tribunali ci occupiamo di furti di portafogli”, ha osservato, “ma qui parliamo di 43 vite spezzate. Cotugno ha ammesso candidamente di essersi interrogato sulla richiesta da formulare: tecnicamente, ha spiegato, per ciascuna vittima di omicidio colposo la pena prevista si aggira intorno ai due mesi e venti giorni. Ma il legislatore ha fissato un tetto massimo di 18 anni complessivi. “Mi sono chiesto: se non ora, quando chiedere il massimo? E per chi, se non per Castellucci, considerata l’enormità di quanto accaduto?”, ha dichiarato il pm, annunciando così la richiesta che tocca il limite massimo consentito dalla legge.

L’impianto accusatorio costruito dai pubblici ministeri Cotugno e Airoldi ruota attorno a una tesi centrale: Castellucci non è sul banco degli imputati semplicemente per il ruolo che ricopriva, ma per le scelte concrete che ha compiuto. Scelte possibili solo per chi occupava la posizione di vertice assoluto dell’azienda. Secondo la ricostruzione dell’accusa, l’ex amministratore delegato aveva piena conoscenza delle criticità del ponte già dal 2009, eppure la sua principale preoccupazione fu quella di “allontanare da sé il problema” anziché affrontarlo.

Il pm ha descritto un meccanismo deliberato: sorveglianza organizzata “in modo confuso”, indebolimento della società Spea – deputata ai controlli – che venne poi obbligata ad autofinanziarsi anche per le verifiche straordinarie normalmente incluse nei contratti. “Aveva tutti i mezzi e tutte le risorse per intervenire, non c’era nessuno sopra di lui che potesse impedirglielo”, ha sottolineato Cotugno. Invece di investire in sicurezza, l’unica precauzione adottata fu l’aumento dei premi assicurativi.

Il pubblico ministero ha tracciato un bilancio amaro: “A sette anni dal crollo paghiamo ancora le conseguenze di quella gestione. I soci furono molto felici, gli utenti furono messi a rischio. Oggi non sono più a rischio perché il management è cambiato, ma sono molto infelici perché subiscono gli effetti di vent’anni di manutenzione trascurata”.

Un passaggio particolarmente duro della requisitoria ha riguardato quanto accadde il 21 luglio 2013 ad Aqualonga, dove morirono circa quaranta persone. Per quella tragedia Castellucci sta già scontando una condanna definitiva a 6 anni nel carcere di Opera. “Quel giorno cambiò il mondo”, ha affermato il pm, ricordando che anche in quell’occasione il sistema di controllo si rivelò inadeguato: i monitoraggi venivano effettuati “passando in macchina per controllare i guard rail”, come riferisce Il Fatto Quotidiano.

Eppure, ha incalzato Cotugno, “se hai contribuito a qualcosa del genere, come minimo dopo stai attento alla sicurezza e non ripeti gli stessi errori”. Invece nulla cambiò. E non cambiò nemmeno dopo il Morandi. A dimostrazione di ciò, il magistrato ha mostrato ai giudici i filmati dei controlli eseguiti da Spea nella galleria Berté: identici nella loro inadeguatezza.

Nell’aprire la sua requisitoria, Cotugno aveva posto una questione di fondo: come gestire giuridicamente una tragedia di queste dimensioni? “Non mi era mai capitato di dover quantificare pene di fronte a un numero così alto di vittime e spero non mi capiti mai più”, ha confessato. Da qui l’appello finale ai giudici: motivare con particolare cura la sentenza, qualunque essa sia, perché questo è un processo “dove si avverte il distacco tra ciò che sente la comunità e ciò che prevede la norma”. Un modo per riconoscere che la giustizia penale fatica a dare una risposta proporzionata quando le vittime sono decine e la responsabilità tocca i vertici di un’azienda che gestiva infrastrutture strategiche per milioni di cittadini.