Diciotto persone arrestate presunte sodali di cosche mafiose locali. Altri 15 individui denunciati per vari reati che vanno dall’associazione per delinquere, droga, armi sino alla ricettazione.
Lecce – Questa mattina, in tutta la provincia e in particolare nei comuni di Racale, Alliste, Taviano, Melissano e Gallipoli, nonché presso la casa circondariale di Lecce, i Carabinieri del Comando Provinciale hanno portato a termine una vasta operazione contro un’organizzazione criminale radicata nel basso Salento. L’intervento ha mobilitato 110 militari, supportati dai comandi territoriali, dallo Squadrone Eliportato Cacciatori “Puglia”, dal Nucleo Cinofili di Bari e militari dell’11° Reggimento “Puglia”.
Su disposizione del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Lecce, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, sono state eseguite misure cautelari nei confronti di 18 persone, 16 in carcere e una ai domiciliari, su un totale di 33 indagati. Gli arrestati sono gravemente indiziati di associazione per delinquere finalizzata al traffico e detenzione di sostanze stupefacenti, lesioni aggravate, tentata estorsione, ricettazione e detenzione abusiva di armi, con l’aggravante del metodo mafioso.
Tutto comincia nel marzo del 2022, quando un giovane di 22 anni di Taviano viene attirato in una trappola con la scusa di un incontro chiarificatore. All’interno di un’abitazione, ad attenderlo non c’erano parole, ma pugni e minacce: viene picchiato brutalmente e costretto a consegnare 700 euro, il prezzo di un debito contratto per l’acquisto di droga. I suoi aguzzini lo obbligano a mettersi alla guida della propria auto, con due di loro a bordo, per recuperare il denaro da casa. Quando il ragazzo scende dal veicolo, gli sottraggono persino le chiavi, per impedirgli ogni via di fuga. Quello che sembrava un episodio di cronaca nera isolato si rivela ben presto la punta dell’iceberg di una organizzazione criminale ramificata, capace di muovere ingenti quantità di droga e di esercitare un controllo capillare sul territorio, in perfetto stile Sacra Corona Unita.
L’operazione, denominata “Pit Bull”, prende il nome dai cani di razza Pit Bull che custodivano la casa di uno dei sodali e che hanno aggredito i carabinieri durante un primo intervento di ricerca, a testimonianza della pericolosità ed aggressività dell’organizzazione.

Per mesi i militari dell’Arma hanno seguito le tracce del clan, intrecciando intercettazioni telefoniche e telematiche, pedinamenti, osservazioni discrete e perfino ricognizioni aeree. Un lavoro paziente che ha svelato un traffico continuo di cocaina, eroina, marijuana e hashish, smerciati non solo nei centri abitati ma anche nelle località marine più frequentate della zona.
Al vertice della riorganizzata compagine criminale c’è il giovane rampollo, 31enne del posto, Vito Paolo Vacca, un nome che per il basso Salento suona come un’eredità pesante. Nipote di Vito Paolo Troisi, storico capo dell’omonimo clan, Vacca è considerato l’erede naturale di quella frangia della Sacra Corona Unita che dagli anni ’90 controlla il traffico di sostanze stupefacenti nell’area, avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo mafioso in quanto appartenente alla famiglia Troisi e della disponibilità di armi.
Figlio del defunto Angelo Salvatore Vacca, ergastolano per omicidio, Vito Paolo ha preso le redini del gruppo dopo la morte del padre, avvenuta il 23 agosto 2024, mentre era ai domiciliari per gravi patologie oncologiche. La sfarzosa cerimonia funebre del padre – celebrata il giorno seguente nella chiesa San Giorgio Martire di Racale, con una carrozza dorata trainata da quattro cavalli neri – è stata un vero e proprio manifesto di potere, evocativo dei riti ostentati che le mafie utilizzano per riaffermare la propria presenza sul territorio.
Nell’organizzazione, ruolo fondamentale è stato quello delle donne di famiglia. Sei di esse, infatti, tutte raggiunte da misure cautelari, gestivano lo spaccio e lo stoccaggio della droga, controllando approvvigionamenti, consegne e contabilità. In particolare, la coniuge di Vito Paolo Vacca sostituiva il marito in sua assenza, occupandosi personalmente della distribuzione delle dosi, del rifornimento delle scorte e della gestione dei proventi illeciti. La droga, chiamata in codice “cento” o “pietre”, veniva prelevata più volte al giorno da nascondigli sicuri, nascosta in buste della spesa o cartoni di vino e detersivi per passare inosservata. Una volta preparate le dosi, il cellophane usato per il confezionamento veniva bruciato per cancellare ogni traccia di odore e residuo.
Un sistema collaudato che ha permesso al clan di accumulare ingenti profitti, fino all’intervento risolutivo di oggi. Infatti, in un’intercettazione, il Vacca parla di un’operazione finanziaria costata circa 774 mila € che, una volta immessa sul mercato, avrebbe fruttato oltre due milioni di € all’organizzazione. Il bilancio dell’operazione è imponente: sette arresti in flagranza, il sequestro di 22 chili di cocaina, 10 chili di marijuana, 3,5 chili di eroina, 9 chili di hashish e beni per un valore di circa 91.000 euro.
Il giudice per le indagini preliminari di Lecce ha ritenuto gravi gli elementi investigativi acquisiti condividendo l’impostazione accusatoria ed emettendo dunque l’ordinanza di custodia cautelare a cui il Comando Provinciale carabinieri di Lecce ha dato esecuzione nella mattinata odierna.