Giovanni Erra, condannato a 30 anni per l’omicidio della studentessa, tornerà libero con sette anni di anticipo. Per la famiglia di Desirée restano ancora troppi interrogativi irrisolti.
Leno – Il 28 settembre 2002 Desirée Piovanelli, una ragazza di 14 anni di Leno, in provincia di Brescia, uscì di casa dicendo ai genitori di avere un appuntamento con un’amica. Non fece mai ritorno. Sei giorni dopo, il suo corpo venne ritrovato in una cascina diroccata a poche centinaia di metri da casa, uccisa con 39 coltellate e parzialmente bruciata.
Quella che inizialmente sembrò la tragedia di una adolescente vittima di un predatore sessuale, si rivelò invece un delitto pianificato da un gruppo composto da tre suoi coetanei e un adulto, tutti abitanti del piccolo paese bresciano. A confessare fu Nicola Bertocchi, 16 anni, vicino di casa della famiglia Piovanelli, che insieme a Nicola Vavassori detto “Nico”, Mattia Franco detto “Bibo” – entrambi suoi coetanei – e Giovanni Erra, l’unico adulto del gruppo di 36 anni, aveva orchestrato l’agguato mortale.
La trappola della cascina Ermengarda
Secondo la ricostruzione emersa durante le indagini, Bertocchi aveva attirato Desirée alla cascina Ermengarda con il pretesto di mostrarle alcuni cuccioli appena nati. La ragazza, che frequentava il primo anno del liceo scientifico a Manerbio e proveniva da una famiglia di Testimoni di Geova, aveva annotato nel suo diario: “Nicola è un ragazzo da non frequentare”, riferendosi proprio al suo vicino di casa.
Una volta giunta alla cascina, Desirée si trovò di fronte quattro uomini armati di coltello. Il piano iniziale prevedeva uno stupro seguito dall’omicidio, ma l’inesperienza del gruppo – che si era “documentato” su Google cercando “Come uccidere una persona a coltellate” e “Quali sono i punti vitali da colpire” – fece andare tutto storto.
Le urla di resistenza della ragazza fecero perdere il controllo a Bertocchi, che iniziò a colpirla con violenza. “Mi fai schifo. Mi fai pena!”, gli gridò Desirée, parole che scatenarono la furia omicida. La giovane tentò di fuggire e in un ultimo disperato tentativo provò a lanciarsi dalla finestra ma fu fermata da Giovanni Erra che la immobilizzò mentre Bertocchi continuava a sferrarle coltellate alle spalle.

La coltellata finale fu letale: Bertocchi la sgozzò e tentò di decapitarla. Fallito il tentativo, il gruppo inscenò uno stupro spogliandola e legandola per i piedi, per poi abbandonarla nella cascina. Giovanni Erra scappò prima degli altri.
Le indagini e l’errore fatale
Inizialmente si fece strada l’ipotesi del predatore sessuale e Desirée venne cercata invano per giorni. Ma Nicola Bertocchi commise un errore che gli costò caro: per depistare le indagini, inviò messaggi al fratello di Desirée utilizzando il cellulare della vittima. Gli inquirenti riuscirono così a risalire a lui e successivamente agli altri componenti del gruppo.
Le indagini furono aiutate dalla Bloodstain Pattern Analysis, la tecnica investigativa che studia le macchie di sangue, permettendo di ricostruire con precisione la dinamica del delitto. Il caso divenne un simbolo di quelle che vennero definite le “dinamiche del branco”, con particolare attenzione al ruolo dell’adulto Giovanni Erra, ammirato e seguito dai tre adolescenti.
Le condanne e i dubbi della famiglia
Il complesso iter giudiziario si concluse con quattro condanne: Giovanni Erra venne condannato a 30 anni di carcere (dopo essere stato inizialmente condannato all’ergastolo in primo grado, con pena ridotta a 20 anni in appello e poi riportata a 30 anni nell’appello bis), mentre i tre minorenni Bertocchi, Vavassori e Franco furono condannati rispettivamente a 18, 11 e 10 anni di reclusione.

I tre giovani hanno già scontato le loro pene e sono liberi da anni. Ora, a 23 anni dal delitto, anche Giovanni Erra sta per tornare in libertà potendo usufruire di uno sconto di sette anni per buona condotta, alla soglia dei 60 anni.
La battaglia di Maurizio Piovanelli
Al di là delle condanne, per Maurizio Piovanelli, papà di Desirée, la verità non è mai emersa completamente. Nonostante le condanne, l’uomo continua a credere che i veri colpevoli non siano mai stati identificati e che sua figlia sia stata vittima non di uno stupro di gruppo, ma di “un sequestro finito male”, organizzato da una rete di pedofili nella Bassa bresciana con un mandante mai scoperto, come riferisce Leggo.
Nel 2021 è stata archiviata l’inchiesta bis ma Maurizio non si arrende: “Chiedo nuove indagini. La ricerca della verità per noi non è finita. I colpevoli sono ancora liberi”.
Tra i punti che secondo Maurizio restano da chiarire c’è una telefonata di uno dei minorenni a un adulto dopo l’omicidio (“Se fosse stato verificato a chi era indirizzata poteva venire fuori il mandante”) e il DNA trovato sul giubbino di Desirée, mai analizzato secondo il padre.
“Sono sempre fiducioso che si possa fare chiarezza”, ha spiegato in un’intervista Maurizio Piovanelli, che insieme ai suoi avvocati sta preparando una nuova mossa per riaprire le indagini. Una battaglia per la verità che continua, 23 anni dopo quel terribile pomeriggio del 28 settembre 2002.