Caso Pifferi: i periti confermano la piena capacità di intendere e di volere

La perizia psichiatrica boccia la tesi della difesa sul deficit cognitivo dell’imputata, già condannata all’ergastolo.

Milano – Si è tornati a discutere in Corte d’Assise d’appello del caso di Alessia Pifferi, la donna già condannata alla pena dell’ergastolo per la morte della figlia di diciotto mesi, avvenuta nel luglio 2022. La piccola morì di stenti dopo essere stata lasciata sola in casa per sei giorni consecutivi, mentre la madre si trovava dal suo compagno.

Al centro dell’udienza odierna la relazione della perizia psichiatrica commissionata dai giudici del secondo grado, che ha sostanzialmente confermato le conclusioni già raggiunte nel primo processo. Gli esperti Giacomo Filippini, Stefano Benzoni e Nadia Bolognini hanno stabilito che l’imputata, al momento dei fatti, possedeva pienamente le facoltà mentali necessarie per comprendere la gravità delle proprie azioni.

La sindrome dell’analfabetismo emotivo

I periti hanno diagnosticato nella quarantenne una condizione di alessitimia, definibile come una forma di “analfabetismo emotivo”, caratterizzata da difficoltà nel riconoscere e descrivere le proprie emozioni. Tuttavia, questa condizione non comporta automaticamente un’incapacità di intendere e volere.

Secondo gli esperti, nonostante evidenti tratti di immaturità affettiva e una certa fragilità cognitiva, Pifferi possedeva comunque “sufficienti competenze relazionali” e la capacità di “risolvere problemi, prendere decisioni e pianificare le azioni”. Cruciale è stata la valutazione che la donna fosse perfettamente consapevole del fatto che un bambino piccolo non può essere abbandonato da solo.

Il materiale scolastico e i test cognitivi

La difesa aveva presentato documentazione relativa al percorso scolastico dell’imputata per sostenere la tesi di un evidente deficit intellettivo. Tuttavia, l’analisi di questo materiale ha portato i periti a conclusioni diverse. Come ha spiegato il dottor Benzoni, pur emergendo alcune difficoltà iniziali, il percorso formativo mostrava un “andamento in miglioramento” e non il contrario, elemento incompatibile con un grave ritardo mentale.

Alessia Pifferi e la piccola Diana

I test cognitivi hanno effettivamente evidenziato punteggi bassi in alcune aree specifiche, come l’attenzione e la memoria di lavoro, ma non tali da compromettere la capacità di giudizio. Anzi, durante i colloqui in carcere, Pifferi ha dimostrato notevoli capacità di adattamento comunicativo e una conoscenza sorprendente di terminologie mediche specialistiche.

La “disconnessione” materna

Uno degli aspetti più discussi riguarda la presunta “disconnessione mentale” di cui ha parlato la stessa imputata per giustificare i suoi comportamenti. I periti hanno chiarito che non si è trattato di fenomeni amnestici o dissociativi di natura patologica, ma piuttosto di una “disconnessione dal ruolo di madre”.

La donna ha infatti mantenuto ricordi dettagliati e emotivamente coinvolti di tutta la vicenda, dimostrando di essere stata consapevole delle potenziali conseguenze del suo comportamento. Questo elemento è risultato decisivo per escludere vizi di mente che potessero attenuare la responsabilità penale.

Le reazioni dei familiari

Particolarmente dure le dichiarazioni dei familiari presenti in aula. La madre di Alessia l’ha definita “una manipolatrice” che “ha sempre raggirato le persone”, sottolineando come la figlia le abbia mentito fino all’ultimo momento, inviandole messaggi rassicuranti sulle condizioni della bambina mentre questa stava morendo.

Anche la sorella Viviana, costituitasi parte civile insieme alla madre, ha espresso giudizi severi, affermando di non vedere nell’imputata alcun senso di colpa genuino per quanto accaduto. Ha inoltre fatto notare come Pifferi abbia mostrato emozione solo quando si è parlato del suo ex compagno, non della figlia deceduta.

Le posizioni contrapposte degli esperti

Se i consulenti della Procura hanno confermato la piena capacità di intendere e volere, diversa è stata la valutazione degli esperti della difesa. Questi hanno sostenuto la presenza di “un disturbo del neurosviluppo di tipo intellettivo con disabilità marcata”, concludendo per un vizio parziale di mente.

Secondo la difesa, tali disturbi, chenascono e muoiono con l’individuo”, avrebbero creato le condizioni favorevoli per il tragico epilogo, impedendo alla donna di comprendere appieno le conseguenze delle proprie azioni.

La Corte dovrà ora valutare queste posizioni contrapposte per decidere se confermare la condanna all’ergastolo o se accogliere le istanze della difesa per un riconoscimento dell’incapacità parziale di intendere e volere.