Tragedia al largo della Libia con 75 migranti sudanesi a bordo. L’OIM denuncia: servono interventi urgenti. Sale a oltre 500 il bilancio delle vittime nel 2025.
Il Mediterraneo torna a tingersi di sangue. Un barcone con 75 rifugiati sudanesi ha preso fuoco a poche miglia dalle coste libiche, causando la morte di almeno 50 persone. Solo 24 i sopravvissuti assistiti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), che lancia l’ennesimo allarme: “È necessario un intervento urgente per porre fine a simili tragedie in mare”.
La tragedia arriva a quasi un mese esatto dalla strage di Lampedusa, che aveva causato 26 morti accertati e una ventina di dispersi. Con questo nuovo naufragio, il bilancio delle vittime nel Mediterraneo diventa ancora più pesante: al 13 settembre si contavano già 456 morti e 420 dispersi, numeri che ora superano abbondantemente quota 500.
Si tratta di cifre necessariamente approssimate per difetto, come sottolinea l’agenzia ONU. Il mare spesso non restituisce i corpi delle vittime e sono decine le imbarcazioni partite dalle coste libiche di cui si perdono completamente le tracce. Solo occasionalmente qualche salma viene avvistata in mare – come accade grazie al Sea Bird, l’aereo civile di Sea-Watch – o restituita dalle onde su qualche spiaggia.
Le intercettazioni della Guardia costiera libica
Spesso a causare le tragedie sono le violente intercettazioni della Guardia costiera libica o delle milizie attive sul territorio. Secondo i dati ufficiali, dall’inizio dell’anno 17.402 persone sono state catturate in mare durante il tentativo di attraversata: 15.555 uomini, 1.316 donne, 586 minori e 145 persone di cui non si conoscono i dati anagrafici.
Il “contenimento delle partenze” richiesto dall’Italia e dall’Unione Europea in cambio di cospicui finanziamenti è diventato un business su cui diverse milizie hanno messo le mani. La situazione si è ulteriormente complicata dopo che le forze di sicurezza speciali (SSA), la Rada e la polizia giudiziaria di Almasri – che secondo diverse inchieste gestivano il traffico in regime di semi-monopolio in Tripolitania – sono state messe fuori legge.
Questa mossa ha diminuito ma non azzerato il loro potere, mentre la Libia è sprofondata in uno stato di profonda instabilità. Le milizie fino a poco tempo fa parte dell’apparato statale continuano a difendere le proprie roccaforti, a partire dall’aeroporto di Mitiga, feudo storico della Rada, mentre il governo Dbeibeh è determinato a regolare i conti con i gruppi armati.
In questo contesto, da porti come Zwara e Zahawya si continuano a tentare traversate sempre più pericolose. Proprio in queste ore, 37 persone sono in attesa di soccorsi al largo di Malta: “Sono fuggiti dalla Libia, ma il motore del loro piccolo gommone è guasto”, segnala Alarm Phone, che ha comunicato alle autorità le coordinate dell’imbarcazione. L’appello è chiaro: “Devono essere soccorsi e portati in un luogo sicuro”. Al momento, nessuna risposta è arrivata.
La tragedia del barcone in fiamme rappresenta l’ennesimo capitolo di una strage che sembra non avere fine, alimentata dall’instabilità libica e dall’inadeguatezza delle politiche migratorie europee nel garantire vie sicure e legali per chi fugge da guerre e persecuzioni.