A 37 anni dall’omicidio, avvenuto il 14 settembre 1988, Trapani ricorda il magistrato ucciso dalla mafia per un provvedimento contro il fratello del boss. Gli esecutori materiali del delitto sono ancora ignoti.
Trapani – Il 14 settembre 1988 Alberto Giacomelli fu trovato riverso sulla strada provinciale di Locogrande, stroncato da due colpi di arma da fuoco: uno alla testa e uno all’addome. Finiva così in un lago di sangue la vita di un magistrato – l’ennesimo – caduto in un agguato perpetrato da quella mafia che per tutta la vita aveva cercato di combattere.
Nato a Trapani nel 1919, figlio di un giudice, Giacomelli aveva seguito le orme del padre e dal 1946 aveva dedicato la vita alla giustizia, diventando pretore a Calatafimi e poi giudice e presidente di sezione del tribunale trapanese. Da quando era in pensione viveva lontano dai riflettori, immerso nella tranquillità dei vigneti e degli uliveti, coltivando le sue due grandi passioni: la famiglia e la legge. Ma la mafia, si sa, non dimentica.
Il vero movente dell’efferato omicidio sarebbe emerso solo anni dopo. Nel 1985, Giacomelli aveva firmato un provvedimento di confisca dei beni nei confronti di Gaetano Riina, fratello di Totò Riina, capo dei Corleonesi. Era un atto di legalità, ma per Cosa Nostra equivaleva ad aver firmato la propria condanna a morte. Non subito, però: prima era meglio attendere che il magistrato, al momento troppo sotto i riflettori, si ritirasse: la sua ben nota riservatezza avrebbe fatto il resto, rendendolo vulnerabile perché non più protetto.
Il 1º maggio 1987, all’età di 68 anni, Giacomelli si congedò per andare a godersi la meritata pensione. Poco più di un anno dopo, il 14 settembre 1988 alle 8 del mattino, i carabinieri di Trapani ne trovavano il cadavere crivellato di colpi, poco fuori città, accasciato dietro la sua automobile. Sulle prime non mancarono varie ipotesi sul possibile movente, dal delitto passionale a una vendetta di giovani del luogo. Ma era chiaro che le modalità dell’uccisione, una vera e propria esecuzione, portavano a una sola pista: omicidio voluto, organizzato e compiuto dalla criminalità organizzata locale.
Il primo processo, celebrato innanzi la Corte d’assise di Trapani, aveva portato alla condanna di alcuni soggetti ritenuti gli esecutori materiali, poi assolti in appello. La prova del coinvolgimento di Totò Riina giunse anni dopo grazie alle dichiarazioni di alcuni pentiti, che testimoniarono come il boss fosse il mandante. Gli esecutori materiali, ad oggi, restano ignoti. La strategia mafiosa era chiara: colpire un magistrato giudicante – era la prima volta nella storia della Repubblica – per scoraggiare l’applicazione della legge Rognoni-La Torre, che nel 1982 aveva introdotto il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso prevedendo misure di prevenzione patrimoniale per contrastare la mafia.
Una decina di giorni dopo, il 25 settembre 1988, la stessa cupola avrebbe colpito a morte un altro magistrato, operante nel distretto di Corte d’Appello di Palermo: Antonino Saetta, crivellato di colpi sulla statale Agrigento-Caltanissetta insieme al figlio Stefano.
Oggi, a 37 anni da quell’assassinio, Trapani continua a onorare la memoria di Giacomelli. Stamani alle 9.30, nel giardino-parcheggio del Tribunale, il Comune in accordo con i familiari del magistrato ha depositato una corona d’alloro nella piazzetta a lui intitolata, non lontano dal Palazzo di giustizia. Il sindaco Giacomo Tranchida ha ricordato un uomo coraggioso, generoso, sempre fedele al proprio ruolo: “Un servitore dello Stato, un trapanese assassinato dalla mafia“, che non temeva di mostrare il suo volto.