L’avvocato Lipera denuncia i tempi infiniti della procedura per Salvatore Antonio Pandetta, 69 anni, affetto da demenza senile e vittima di ictus.
Catania – Una battaglia contro il tempo quella che, da nove mesi, sta combattendo l’avvocato Giuseppe Lipera dello Studio Legale di Catania per ottenere la grazia presidenziale in favore del suo assistito, Salvatore Antonio Pandetta, detenuto di 69 anni, le cui condizioni di salute si sono drammaticamente aggravate durante la carcerazione.
La spirale burocratica
Tutto ha inizio il 19 dicembre 2024, quando il legale presenta la prima domanda di grazia al Quirinale. A febbraio 2025, un primo sollecito accompagnato dalla certificazione medica che attesta la demenza senile del detenuto. La risposta del Direttore dell’Ufficio per gli Affari dell’Amministrazione della Giustizia è sempre la stessa: “Il Capo dello Stato può adottare le sue determinazioni solo all’esito dell’attività istruttoria che il Ministero della Giustizia è competente a svolgere”.

Ma le condizioni di Pandetta peggiorano rapidamente. Il 24 febbraio l’avvocato informa nuovamente le autorità che il suo assistito ha subito una trombosi cerebrale con infarto cerebrale. A luglio presenta anche istanza per la detenzione domiciliare per gravi motivi di salute.
Un iter senza fine
Le risposte si susseguono identiche, quasi un copia-incolla: “È in corso la valutazione dei risultati dell’istruttoria svolta dalle Autorità giudiziarie”, scrive il Responsabile del comparto Grazie il 23 luglio. Stesso copione il 5 settembre, quando comunica che “la fase istruttoria non risulta ancora conclusa”, nonostante siano trascorsi ormai nove mesi dalla prima richiesta.
L’avvocato Lipera, nell’ultimo disperato appello datato 5 settembre, manifesta “il timore – purtroppo fondatissimo – che ogni giorno che passa il Pandetta possa morire in carcere”. Parole che suonano come un grido di allarme in un Paese che spesso dimentica che, dietro le sbarre, non ci sono vittime sacrificali ma esseri umani.
La denuncia: “Nessuna istruttoria da compiere”
“Nel caso in questione non vi è alcuna istruttoria da compiere“, tuona il legale nella sua ultima comunicazione al Quirinale. “Pandetta è stato condannato in via definitiva, non ci sono accertamenti di merito da svolgere e ogni giorno che passa equivale a lasciare un uomo anziano, fragile e sofferente, consumarsi lentamente dentro una cella”.
La vicenda solleva interrogativi profondi sui tempi della giustizia italiana e sulla gestione delle procedure di clemenza. Mentre la burocrazia macina i suoi tempi, un uomo di 69 anni, colpito da demenza senile e ictus, attende dietro le sbarre una risposta che potrebbe non arrivare mai.
Il diritto alla dignità oltre la condanna
Il caso Pandetta rappresenta un esempio emblematico di come la macchina della giustizia faccia fatica, talvolta, a confrontarsi con situazioni umane che richiederebbero tempestività e sensibilità. La grazia presidenziale, istituto previsto dalla Costituzione, dovrebbe rappresentare l’extrema ratio per casi eccezionali, ma quando i tempi si dilatano oltre ogni ragionevolezza, il rischio è che diventi un’illusione.

“Temiamo ogni giorno che il carcere ci comunichi la morte del Pandetta“, conclude amaramente l’avvocato Lipera. Il caso apre un interrogativo amaro: che senso ha la grazia presidenziale se, nei fatti, la macchina burocratica rende impossibile intervenire quando la vita stessa è appesa a un filo? Una procedura nata per restituire dignità rischia così di trasformarsi in una condanna aggiuntiva, senza sentenza.