Dalla trasformazione illegittima del Consorzio Idrico alla minaccia delle “Grandi Reti Idriche Campane”: come si sta svendendo un bene essenziale per tutti.
Caserta – Mentre le istituzioni preposte al controllo e alla vigilanza continuano in un inspiegabile letargo, i servizi pubblici essenziali subiscono attacchi sempre più devastanti nel territorio campano. Il sistema idrico di Terra di Lavoro rappresenta forse l’esempio più emblematico di questo sfascio programmato, con il rischio concreto di tradire definitivamente la volontà popolare espressa nel referendum del 12 e 13 giugno 2011, quando 26 milioni di cittadini italiani stabilirono chiaramente che sull’acqua non si può fare profitto.
In quella consultazione storica, gli italiani dissero un NO netto a una norma che prevedeva l’adeguata remunerazione del capitale investito nel servizio idrico, sancendo così che sull’acqua non possono esistere margini di guadagno, finanza speculativa o business di alcun tipo. Il motivo è cristallino: come stabilito dalla risoluzione delle Nazioni Unite del 26 luglio 2010, “il diritto all’acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici” costituisce “un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani”.
Eppure, nonostante questa chiarezza normativa e popolare, lo “scandalo” del Consorzio Idrico di Terra di Lavoro è stato per anni avvolto da un silenzio assordante. Solo grazie all’attenzione di pochi organi d’informazione e alle denunce di movimenti civici, è emersa la gravità della situazione: un ente travolto da debiti insostenibili su cui, incredibilmente, neppure la Corte dei conti sembra essersi mai pronunciata con la dovuta severità.
La trasformazione dell’ex Consorzio Idrico “Terra di Lavoro” in “I.T.L. S.P.A” – fanno sapere dall’associazione – appare viziata da gravi irregolarità procedurali. Sebbene il comma 7-bis dell’Art. 115 del TUEL preveda che le deliberazioni per trasformare un consorzio in società di capitali possano essere adottate a maggioranza dei componenti dell’assemblea consortile, questo vale solo quando lo scopo sociale non cambia. Nel caso in questione, invece, lo scopo è radicalmente mutato, e soprattutto non è mai stato rispettato il principio fondamentale secondo cui “gli enti locali che non intendono partecipare alla nuova società hanno diritto alla liquidazione della loro quota di capitale”.
Il punto cruciale è che i Consigli comunali dei territori interessati non sono mai stati chiamati a pronunciarsi sull’adesione alla nuova società per azioni. Questa grave omissione invalida l’intero processo di trasformazione, poiché ogni ente locale avrebbe dovuto decidere autonomamente se partecipare o meno alla nuova struttura societaria.
Ma il peggio potrebbe ancora arrivare. La Giunta regionale della Campania, con la delibera n. 399 del 25.07.2024, ha deciso di costituire la “Società Grandi Reti Idriche Campane Spa” per gestire la Grande Adduzione Primaria, prevedendo la vendita ai privati del 49% delle preziose fonti idriche regionali. Una scelta che rappresenta l’ennesimo tradimento del referendum del 2011 e una minaccia diretta alla gestione pubblica dell’acqua.
Di fronte a questo scenario devastante, è indispensabile una mobilitazione immediata e trasversale. Il Forum Italiano dei Movimenti Per l’Acqua sta già combattendo per ottenere il ritiro della sciagurata delibera regionale, mentre figure come padre Alex Zanotelli continuano instancabilmente le loro battaglie storiche per l’acqua pubblica, ricordando a tutti che “il popolo è sovrano”.
La questione non si limita agli aspetti procedurali e normativi. C’è infatti da affrontare l’eredità pesantissima della cattiva gestione dell’ex Consorzio idrico, come rende noto l’associazione campanaa: reti idriche ridotte a veri e propri colabrodo, sprechi incontrollati e debiti che si sono accumulati in modo insostenibile. Su tutto questo dovrebbe intervenire con decisione la Procura della Corte dei conti, chiamando finalmente alle proprie responsabilità chi ha permesso questo disastro.
È su questa piattaforma di rivendicazioni che partiti, movimenti, cittadine e cittadini della provincia di Caserta e dell’intera Campania dovrebbero unirsi per fermare definitivamente un processo che sta portando alla svendita di un bene comune fondamentale. L’acqua non è una merce, non può essere oggetto di speculazione finanziaria e deve rimanere sotto controllo pubblico democratico.
Il tempo per agire c’è ancora ma si sta rapidamente esaurendo. Occorre rimettere in discussione tutte le procedure illegittime, richiamarsi con forza all’esito referendario del 2011 e dire un NO deciso a qualsiasi forma di “società benefit” che nasconda in realtà operazioni di privatizzazione. L’acqua deve essere realmente pubblica, gestita nell’interesse collettivo e non per il profitto di pochi. La posta in gioco è troppo alta per permettersi ulteriori tentennamenti o complicità silenziose.