RAI, la censura che non passa: il Tribunale condanna l’azienda

Il Tribunale di Busto Arsizio impone 50mila euro di risarcimento per la circolare che penalizzava i dipendenti impegnati in politica.

Busto Arstizio – Il Tribunale del Lavoro di Busto Arsizio ha inflitto una pesante condanna alla RAI per aver violato i diritti fondamentali dei propri dipendenti con una circolare che limitava la loro libertà politica. La sentenza, che impone un risarcimento di 50.000 euro e obbliga l’azienda a pubblicare la decisione sui principali quotidiani nazionali, rappresenta un precedente significativo nella tutela dei diritti dei lavoratori.

La circolare contestata

Il 5 maggio scorso, l’amministratore delegato Giampaolo Rossi aveva emanato una circolare interna che imponeva severe restrizioni ai dipendenti e collaboratori RAI impegnati in attività politica o referendaria. Il documento stabiliva che i candidati alle elezioni, anche in piccoli comuni, dovessero mettersi in ferie, permesso o aspettativa, mentre chi partecipava alle campagne referendarie dovesse comunicarlo all’azienda per essere rimosso dai titoli di coda delle trasmissioni. Le restrizioni si applicavano a tutti i lavoratori, incluse partite IVA e collaboratori a progetto.

La statua del ”Cavallo Morente” esposta all’esterno della sede Rai

L’atto aveva immediatamente provocato la rivolta delle opposizioni parlamentari e un ricorso al Tribunale del lavoro da parte della Slc Cgil e dell’Associazione nazionale lotta alle discriminazioni, rappresentate dall’avvocato Carlo De Marchis. Il Tribunale aveva già sospeso il provvedimento lo scorso 16 maggio.

Una discriminazione “diretta di tipo collettivo”

La giudice Franca Molinari ha definito il provvedimento una “discriminazione diretta di tipo collettivo” che penalizza oggettivamente tutti i lavoratori RAI che partecipano alla vita politica del Paese nella loro sfera privata. La sentenza chiarisce che l’esigenza di garantire la neutralità del servizio pubblico “non giustifica la discriminazione che colpisce il lavoratore a causa delle sue legittime opinioni personali quando queste non si esprimono in azioni concrete nel servizio pubblico”.

Il Tribunale ha riconosciuto che la circolare viola diritti costituzionali fondamentali come la libertà di espressione, il diritto di partecipare alla vita pubblica, il diritto di aderire ad associazioni e partiti e il principio di non discriminazione.

Oltre al risarcimento di 50.000 euro complessivi, la RAI dovrà adottare un piano per rimuovere gli effetti delle condotte discriminatorie, pubblicare la sentenza sui principali quotidiani nazionali, diffonderla a tutti i dipendenti e pagare le spese processuali per circa 6.000 euro.

Il nuovo fronte: i social media

L’8 agosto Rossi ha emanato una nuova circolare sui social media, ricordando che anche i post personali sono considerati comunicazione “pubblica” vincolata dal Codice Etico aziendale. I dipendenti devono attenersi ai principi di “diligenza, correttezza, buona fede e lealtà” online, con la minaccia di provvedimenti disciplinari per le violazioni.

La vicenda solleva questioni complesse sul rapporto tra doveri aziendali e diritti individuali nel servizio pubblico radiotelevisivo. La sentenza stabilisce che le aziende non possono discriminare i dipendenti per le loro opinioni politiche private o per la partecipazione alla vita democratica, tracciando un confine netto tra sfera lavorativa e libertà individuale.

La decisione potrebbe avere ripercussioni significative per tutte le aziende dell’informazione e comunicazione, stabilendo che il controllo aziendale ha limiti costituzionali invalicabili. La condanna rappresenta un monito: i diritti fondamentali dei lavoratori non possono essere sacrificati per presunte esigenze aziendali non supportate da reali necessità operative.

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