Il Pd commissariato stringe accordi con De Luca mentre Fico si prepara alla sfida decisiva per il centrosinistra.
Napoli – In una trattoria a due passi da Santa Brigida, Napoli, si consuma uno dei capitoli più controversi della politica campana degli ultimi anni. Antonio Misiani, commissario del Pd in Campania, è finito nel mirino delle accuse: avrebbe stretto con Vincenzo De Luca un patto che molti considerano indigeribile. Roberto Fico candidato presidente della Regione, Piero De Luca alla guida della segreteria regionale, una lista “A testa alta” gestita dal governatore uscente e perfino la scelta di due assessori. Un accordo che sa di resa incondizionata proprio nel momento in cui il Pd doveva fare i conti con le irregolarità nel tesseramento che hanno portato al commissariamento.
Misiani, lombardo innamorato di Napoli, beve il caffè e parla della Campania come del “banco di prova decisivo per la coalizione progressista”. Sa che qui si gioca una partita che va oltre i confini regionali, decisiva per le successive politiche nazionali. E conosce bene la geografia del consenso: se De Luca ha perso terreno a Napoli, nel resto della regione il suo peso resta consistente. “Ce ne sono diverse di Campanie”, spiega. “Il capoluogo rappresenta quella più progressista, ma in Irpinia è rimasto l’imprinting demitiano, a Benevento c’è ancora Mastella, Salerno è Deluchistan”.

È proprio questa consapevolezza a rendere così spinoso l’accordo. Fulvio Bonavitacola, braccio destro del governatore, rivendica dieci anni di amministrazione che hanno “restituito reputazione e autorevolezza” alla regione. Ma il commissariamento del partito campano, secondo lui, è stata “una ritorsione politica” per l’esito delle primarie, “un sequestro che risponde solo a logiche di potere interno”.
Dall’altra parte, intellettuali come Isaia Sales alzano la voce: “Non solo il Pd non chiede scusa a De Luca per gli insulti quotidiani, ma gli garantisce un potere enorme proprio ora che lo ha perso”. Sales, insieme a Paolo Mancuso, Giulio Sapelli e Andrej Longo, ha preparato un documento che chiede trasparenza negli accordi e di non cedere a quelli che considera “ricatti”.
Nel frattempo, Roberto Fico passeggia per i quartieri della sua gioventù, da Posillipo a Chiaia, dove prendeva l’autobus per andare al liceo Orazio. Conosce ogni angolo di questa città, ogni teatro e ogni chiesa. Sa di essere il candidato più probabile del centrosinistra, è consapevole delle faide che si combattono dietro la sua candidatura ma mantiene la prudenza di sempre. Quella stessa che gli ha permesso di sopravvivere nel Movimento 5 Stelle anche senza ruoli istituzionali, aspettando che i pianeti si allineassero.

La sua vicinanza a Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli da quattro anni, rappresenta un ulteriore elemento di tensione. Il sistema De Luca e quello di Manfredi “si fanno la guerra”, come confermano le fonti. E in un’eventuale giunta guidata da Fico, di certo non saranno i deluchiani a contare.
Mentre sul lungomare di Napoli si stagliano le navi da crociera, la politica campana si prepara all’ultimo atto. Fico ha già cominciato la sua campagna elettorale ma per gli annunci ufficiali c’è ancora tempo. Prima dovrà consumarsi l’ultima guerra dentro il Pd, dove qualcuno dovrà necessariamente uscirne sconfitto.
La posta in gioco va ben oltre i confini regionali: in Campania si decide il futuro del centrosinistra italiano e la credibilità di una classe dirigente che rischia di rimanere ostaggio dei propri compromessi.