Quando Carlo Nordio da magistrato si opponeva alla riforma che oggi da Guardasigilli sta firmando: la parabola di trent’anni tra Mani Pulite e separazione delle carriere.
Roma – 3 maggio 1994. Mentre l’Italia è travolta dall’inchiesta Mani Pulite e il primo governo Berlusconi annuncia la volontà di riformare la giustizia, un giovane magistrato della Procura di Venezia firma un documento di protesta contro la separazione delle carriere. Quel magistrato si chiamava Carlo Nordio. Oggi, trent’anni dopo, è lui stesso a guidare quella riforma che un tempo avversava.

L’esecutivo di centrodestra puntava fin da subito sulla separazione delle carriere dei magistrati, una riforma che avrebbe diviso definitivamente le funzioni requirenti (pubblici ministeri) da quelle giudicanti (giudici). Una proposta che suscitò immediate reazioni nel mondo della magistratura, determinando una mobilitazione senza precedenti.
La protesta della magistratura
In quel clima di tensione istituzionale, i magistrati decisero di protestare ufficialmente contro il progetto di riforma. L’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) lanciò un appello che raccolse oltre 1500 adesioni in tutta Italia, coinvolgendo pubblici ministeri e giudici di ogni ordine e grado.
Tra i firmatari di quell’appello c’era anche un pubblico ministero del tribunale di Venezia che sarebbe diventato celebre negli anni successivi: Carlo Nordio. Il documento, inviato via fax alla sede dell’ANM, recitava testualmente:
“I sottoscritti magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia aderiscono al comunicato dell’Associazione nazionale magistrati in quanto contrari alla divisione delle carriere dei Magistrati con funzioni requirenti e con funzioni giudicanti”.
Le argomentazioni del 1994
Il documento firmato da Nordio e dai suoi colleghi veneziani elencava una serie di argomentazioni contro la separazione delle carriere, molte delle quali risuonano familiari nel dibattito contemporaneo. Il primo punto dell’appello era particolarmente illuminante:
“Nella storia dell’Italia repubblicana l’indipendenza del PM rispetto all’esecutivo e l’unicità della magistratura ha rappresentato in concreto una garanzia per l’affermazione della legalità e la tutela del principi di eguaglianza dinanzi alla legge”.

Esattamente le stesse argomentazioni che porta avanti oggi l’ANM e che l’attuale ministro Nordio respinge, dopo averle condivise e sottoscritte in veste di magistrato. Una contraddizione che non è sfuggita all’associazione di categoria, che ha deciso di rendere pubblico quel documento storico.
“Todo cambia”: la provocazione dell’ANM
L’Associazione Nazionale Magistrati ha scelto di pubblicare il documento del 1994 con una chiara intenzione provocatoria. “Todo cambia”, hanno scritto diversi magistrati nell’inviare quel documento: Carlo Nordio, descritto come “il ministro che non è nemmeno d’accordo con se stesso”.
La mossa dell’ANM rappresenta un tentativo di mettere in difficoltà l’attuale Guardasigilli, evidenziando come le sue posizioni si siano completamente ribaltate nel corso dei decenni. Una strategia comunicativa che punta a delegittimare la riforma attraverso la contraddizione personale del suo principale artefice.
La replica del ministro: il racconto di una conversione
Nordio non si è sottratto alla polemica e ha fornito la sua versione dei fatti, ricostruendo il percorso che lo ha portato a cambiare idea sulla separazione delle carriere. La sua replica è articolata e tocca diversi punti cruciali:
“In quegli anni ero contro la separazione delle carriere perché auspicavo che la magistratura restasse compatta, in tempo di stragi e Tangentopoli“, ha spiegato il ministro, contestualizzando la sua posizione iniziale nel clima di emergenza degli anni Novanta.
Il punto di svolta nella posizione di Nordio sarebbe arrivato poco dopo la firma di quell’appello. “Poi ci fu il caso del suicidio di un indagato in una mia inchiesta a Venezia. Da lì capii che si stava esagerando e nel 1995 cambiai idea”, ha raccontato il ministro.
Questo episodio drammatico avrebbe fatto riflettere Nordio sui rischi di un uso eccessivo dell’azione penale, portandolo a riconsiderare la necessità di una maggiore separazione tra le funzioni requirenti e quelle giudicanti. “Tanto che anche alcuni giornali il giorno dopo titolarono su questa mia nuova decisione”, ha aggiunto, sottolineando come il cambiamento fosse stato pubblico e documentato.
Una conversione non solitaria
Nordio ha anche respinto l’idea di essere l’unico ad aver cambiato posizione nel corso degli anni: “Del resto non sono stato certo l’unico tra i magistrati, tra i politici e tra i giornalisti a cambiare idea”, ha osservato il Guardasigilli.
Effettivamente, la storia italiana degli ultimi trent’anni è costellata di personalità che hanno modificato le proprie posizioni su temi cruciali, dalla giustizia all’economia, dalla politica estera alle riforme istituzionali. In questo senso, la parabola di Nordio si inserisce in un fenomeno più ampio di evoluzione delle idee nel dibattito pubblico.
Il ministro ha anche ricordato un episodio del 1997 che testimonia come il suo cambiamento di posizione fosse già consolidato: “Nel 1997 fui chiamato dai probiviri dell’ANM per render conto delle mie idee, che ribadii”.
I sostenitori della separazione delle carriere argomentano che essa garantirebbe maggiore equilibrio nel processo penale, evitando che lo stesso corpo di magistratura concentri sia le funzioni di accusa che quelle di giudizio.
Gli oppositori, invece, temono che la riforma possa indebolire l’indipendenza della magistratura, rendendo i pubblici ministeri più vulnerabili alle pressioni del potere politico. È la stessa argomentazione che Nordio condivideva nel 1994 e che oggi respinge.