Open Arms, la Procura: “Salvini era da condannare”

I pm saltano l’appello e si rivolgono direttamente alla Suprema Corte: “Errore nell’interpretazione delle norme sul soccorso in mare”.

Palermo – La Procura di Palermo non si arrende e porta il caso Open Arms direttamente in Cassazione. I pubblici ministeri hanno presentato ricorso alla Suprema Corte contro l’assoluzione di Matteo Salvini, pronunciata dal Tribunale di Palermo lo scorso 20 dicembre con la formula più ampia “perché il fatto non sussiste”.

Il vicepremier e ministro delle Infrastrutture era stato processato per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio in relazione al blocco della nave Open Arms nell’agosto 2019, quando 147 migranti rimasero in mare per 19 giorni prima di poter sbarcare.

La strategia della Procura

La procura diretta da Maurizio de Lucia ha scelto una strada inusuale, saltando il grado di appello per rivolgersi direttamente alla Cassazione. Nel ricorso di 16 pagine, firmato dalla procuratrice aggiunta Marzia Sabella e dalla sostituta Giorgia Righi, i magistrati dell’accusa spiegano che il tribunale “ha accolto pienamente le nostre prospettazioni sulla complessiva ricostruzione dei fatti, divergendo dalla tesi accusatoria solo con riguardo all’individuazione e alla interpretazione della normativa applicabile.

I pm sottolineano che “i giudici non hanno negato che le condizioni a bordo della nave dopo diversi giorni di navigazione erano divenute critiche”, ma hanno comunque assolto Salvini ritenendo che l’Italia non avesse l’obbligo di concedere il “Pos” (Place of safety, porto sicuro) alla Open Arms.

Il precedente della Diciotti

Per supportare la loro tesi, i pubblici ministeri citano una recente ordinanza della Cassazione del 6 marzo scorso sul caso della motonave Diciotti, rimasta cinque giorni al largo di Catania con 177 migranti a bordo. Le Sezioni unite civili della Suprema Corte hanno condannato lo Stato italiano a risarcire i migranti, “così affermando che i migranti subirono indubbiamente un’arbitraria privazione della libertà personale”.

Nave Diciotti

Questo precedente, arrivato tre mesi dopo la sentenza di assoluzione di Salvini, rappresenta un elemento chiave nella strategia della Procura palermitana.

La questione di diritto

Nel ricorso, i magistrati dell’accusa pongono una precisa questione di diritto: “Il sistema delle cosiddette leggi del mare non prevede, né può prevedere, vuoti di tutela”. Viene richiamata l’ordinanza delle Sezioni unite secondo cui “l’obbligo del soccorso in mare costituisce un preciso dovere di tutti i soggetti, pubblici o privati, che abbiano notizia di una nave o persona in pericolo esistente in qualsiasi zona di mare in cui si verifichi tale necessità”.

I pm contestano la ricostruzione del tribunale che aveva scaricato le responsabilità sulla Spagna, in quanto paese della Ong che gestiva l’imbarcazione. Secondo l’accusa, “le tre convenzioni sul soccorso in mare (Solas, Sar e Unclos), tutte sottoscritte dall’Italia, hanno introdotto, come imprescindibile corollario, il dovere di solidarietà e sussidiarietà fra gli Stati, che pertanto sono tenuti a intervenire in caso di inerzia, rifiuto o assenza di altri”.

L’obiettivo della Procura

Con questo ricorso, definito dai magistrati come un atto “tecnico” per “ragioni strettamente di diritto”, la Procura di Palermo punta a ottenere dalla Cassazione l’annullamento dell’assoluzione di Salvini e un rinvio a nuovo processo in appello.

In primo grado, i pubblici ministeri avevano chiesto una condanna a 6 anni di reclusione per il leader della Lega. Ora la parola passa ai giudici della Suprema Corte, che dovranno decidere se la ricostruzione normativa del tribunale di Palermo sia corretta o se, come sostiene l’accusa, ci sia stato un errore nell’interpretazione delle leggi internazionali sul soccorso in mare.

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