Il caso Attilio Manca: 21 anni dopo continua la battaglia per la verità

Il medico scomodo “suicidato” dalla mafia per quel no a Bernardo Provenzano. La giustizia negata tra silenzi e depistaggi.

Viterbo – Il 12 febbraio 2004, Attilio Manca, brillante urologo siciliano di appena 34 anni, veniva trovato morto nella sua abitazione di Viterbo. La versione ufficiale parlava di overdose da eroina ma fin dall’inizio il caso presentò anomalie che lasciarono perplessi investigatori, familiari e osservatori attenti, trasformando quella che doveva essere l’archiviazione di un tragico suicidio in uno dei cold case più controversi della cronaca giudiziaria italiana.

L’abitazione dell’urologo in via Claudio Monteverdi 10 a Viterbo

Attilio Manca non era un medico qualunque. Nato a Gela nel 1970, si era laureato in Medicina e Chirurgia con il massimo dei voti presso l’Università di Messina, specializzandosi successivamente in Urologia. Definito un “luminare” nonostante la giovane età, aveva costruito una reputazione professionale invidiabile, lavorando presso strutture ospedaliere prestigiose e guadagnandosi il rispetto dei colleghi per la sua competenza e dedizione.

La sua carriera era in costante ascesa: nel 2004 prestava servizio presso l’ospedale “Belcolle” (oggi Santa Rosa) di Viterbo e si stava affermando come uno dei giovani urologi più promettenti del panorama medico italiano. Aveva progetti ambiziosi, una vita sociale attiva e nessun segnale che potesse far presagire una tragedia imminente.

La morte di Attilio Manca arrivò in un momento particolare e delicato. Negli ambienti investigativi si vociferava che il giovane medico potesse essere entrato nel mirino di Cosa Nostra per fornire cure mediche a Bernardo Provenzano, il capo dei capi latitante da decenni. Il boss, che sarebbe stato catturato solo nel 2006, aveva già problemi urologici che richiedevano assistenza medica specializzata. L’organizzazione mafiosa era alla ricerca di professionisti disposti a garantire cure discrete e sicure.

Bernardo Provenzano

Secondo l’ipotesi investigativa più accreditata, Attilio Manca sarebbe stato avvicinato dai rappresentanti dell’organizzazione criminale con la richiesta di fornire assistenza medica al boss latitante. Il giovane urologo, però, avrebbe rifiutato categoricamente di prestare le proprie competenze professionali al servizio di Cosa Nostra, dimostrando un coraggio e un’integrità morale che gli sarebbero costati la vita. La mafia, tradizionalmente intollerante verso chi osa dire “no” alle sue richieste, avrebbe quindi deciso di eliminarlo per punire il rifiuto e lanciare un messaggio intimidatorio ad altri colleghi del giovane professionista.

Questa ricostruzione, inizialmente considerata una semplice ipotesi, ha assunto nel tempo un peso sempre meno trascurabile, trasformando la morte di Attilio Manca da presunto suicidio per overdose a possibile omicidio di matrice mafiosa. La coincidenza temporale tra il presunto rifiuto di collaborare con l’organizzazione criminale e la morte del giovane urologo non può essere ignorata, soprattutto alla luce delle numerose anomalie che caratterizzavano la scena del crimine e dell’assoluta mancanza di motivazioni che avrebbero potuto spingere il giovane medico a togliersi la vita.

La scoperta del corpo

La mattina del 12 febbraio 2004, nell’appartamento di via Monteverdi 10, a Viterbo, viene scoperto il corpo senza vita di Attilio Manca. Il cadavere è riverso trasversalmente sul piumone del letto, seminudo, in una pozza di sangue, con il setto nasale deviato e macchie emostatiche su tutto il corpo.

Il corpo senza vita di Attilio Manca

La scena del crimine presenta fin da subito elementi che destano perplessità. Sul braccio sinistro della vittima si notano chiaramente i segni di due iniezioni, un dettaglio che diventerà centrale nell’inchiesta, considerando che il medico era mancino. L’autopsia certificherà la presenza nel sangue di eroina, alcol etilico e diazepam (Tranquirit), un cocktail letale che – secondo la Procura di Viterbo – sarebbe stato auto-somministrato.

Ma è proprio la dinamica delle iniezioni a sollevare i primi dubbi. Per un mancino come Attilio, iniettarsi sostanze stupefacenti nel braccio sinistro è un gesto estremamente innaturale e difficoltoso da mettere in pratica. Questa anomalia diventerà uno dei pilastri dell’argomentazione dei legali della famiglia Manca contro la tesi del suicidio.

Le anomalie della scena del crimine

L’analisi forense dell’appartamento rivela una serie di incongruenze che aprono la pista a un possibile omicidio. La polizia scientifica non trova impronte digitali significative nella casa di Attilio, un fatto estremamente inusuale considerando che si tratterebbe del suicidio di una persona che viveva normalmente in quell’ambiente.

polizia scientifica indagini
La Polizia Scientifica al lavoro

Il materiale necessario per preparare e iniettare l’eroina – come cucchiai, accendini, lacci emostatici o siringhe aggiuntive – non viene trovato nell’appartamento. Un’assenza particolarmente emblematica, perché l’eroina deve essere liquefatta prima dell’iniezione e per farlo occorrono attrezzature specifiche che non risultano presenti nell’appartamento di via Monteverdi.

Secondo le dichiarazioni della famiglia, gli unici segni di iniezione trovati sul corpo sono proprio quelli sul braccio sinistro, il che mette a tacere le infamanti versioni che parlano di un possibile uso di droghe precedente al decesso. Non esistono evidenze di una tossicodipendenza pregressa del medico, né tracce di consumo abituale di sostanze stupefacenti.

Il quadro psicologico: nessun movente per il suicidio

Uno degli aspetti più sconcertanti del caso riguarda l’assenza totale di un movente che potesse spingere Attilio Manca al suicidio. Il giovane urologo stava vivendo un momento di grande successo professionale, con una carriera in ascesa e riconoscimenti nel suo campo di specializzazione.

Non esistono testimonianze di problemi personali, depressione o crisi psicologiche che potessero giustificare un gesto estremo. Al contrario, colleghi e amici lo descrivono come un uomo equilibrato, appassionato del suo lavoro e con grandi progetti per il futuro.

La vittima sul luogo di lavoro

La personalità di Attilio Manca, descritta come determinata e metodica, mal si concilia con l’idea di un suicidio improvviso e violento. La sua formazione medica, inoltre, gli avrebbe permesso di utilizzare metodi meno traumatici per togliersi la vita, se quella fosse stata davvero la sua intenzione.

L’autopsia

L’esame autoptico, condotto nelle ore successive al ritrovamento del corpo, presenta diverse lacune che hanno compromesso una corretta ricostruzione dei fatti. La famiglia e i sostenitori della tesi dell’omicidio definiscono l’autopsia “carente e falsata da esami insufficienti”, sostenendo che non siano stati approfonditi tutti gli aspetti necessari per chiarire le circostanze della morte.

In particolare, non sarebbero state condotte analisi più approfondite sulla dinamica delle iniezioni, sui tempi di somministrazione delle sostanze e sulla compatibilità dei segni fisici con l’ipotesi del suicidio. La presenza di macchie emostatiche e del setto nasale deviato non trova spiegazioni soddisfacenti nella ricostruzione ufficiale.

L’effetto combinato delle tre sostanze trovate nel sangue – eroina, alcol e diazepam – crea un quadro tossicologico complesso che avrebbe meritato un’analisi più dettagliata per stabilire i tempi e le modalità di assunzione.

Il mistero delle impronte e delle tracce

Uno degli elementi più lacunosi dell’intera vicenda riguarda l’analisi delle impronte digitali nell’appartamento. La Polizia Scientifica dichiara di non aver trovato impronte significative in casa di Attilio, un fatto che contrasta con quella che dovrebbe essere la scena di un suicidio.

In un ambiente domestico dove una persona vive abitualmente, l’assenza quasi totale di impronte fresche è estremamente sospetta. Questo elemento, combinato con la mancanza del materiale per preparare la droga, dipinge il quadro di una scena del crimine che potrebbe essere stata “ripulita” o “preparata” da altre persone, non certo dalla vittima.

Attilio Manca era mancino, un particolare che assumerà la sua importanza nell’inchiesta

La mancanza di tracce biologiche o fisiche che possano ricondurre a presenze estranee nell’appartamento suggerisce l’ipotesi di un intervento da parte di soggetti terzi per cancellare le prove di un eventuale omicidio.

Le incongruenze che alimentano i dubbi

Le incongruenze emerse dall’analisi della morte di Attilio Manca sono così numerose e significative da aver convinto molti che la versione del suicidio per overdose non regga a un esame approfondito.

Oltre alla questione delle iniezioni sul braccio sinistro di un mancino, emerge un quadro complessivo che stride con l’ipotesi del suicidio. La posizione del corpo, riverso trasversalmente sul letto, le condizioni fisiche rilevate (setto nasale deviato, macchie emostatiche), l’assenza di segni di lotta ma anche l’assenza di un ambiente “preparato” per il suicidio creano un puzzle che non trova soluzione nella ricostruzione ufficiale.

Un elemento particolarmente significativo riguarda le intercettazioni precedenti alla morte del giovane medico, in cui si parlava della necessità di fare “una doccia al dottore”. Questa espressione, secondo alcuni investigatori, potrebbe rappresentare un codice per indicare l’intenzione di eliminare il medico. La tempistica stessa della morte solleva interrogativi: perché proprio in quel momento, quando si vociferava di pressioni per fornire cure mediche a Provenzano? La coincidenza appare troppo sospetta per essere ignorata.

Il ruolo della Commissione Antimafia

Nel 2018, la Commissione Antimafia approvò una relazione dedicata specificamente al caso Manca, evidenziando le numerose lacune investigative e sollevando dubbi sulla versione ufficiale della morte per overdose. Questo documento rappresentò una svolta importante, fornendo nuove basi per rimettere in discussione le conclusioni originali dell’inchiesta.

La relazione mise in luce come l’indagine iniziale non avesse approfondito adeguatamente alcuni aspetti cruciali, lasciando zone d’ombra che ancora oggi alimentano i sospetti di un possibile omicidio camuffato da suicidio.

La battaglia legale della famiglia

Forte delle conclusioni della Commissione Antimafia, la famiglia Manca – in particolare i genitori Gioacchino e Angela – ha intrapreso una battaglia legale per ottenere la riapertura delle indagini. Nel febbraio 2023, hanno presentato un’istanza formale alla Procura di Roma, chiedendo di riconsiderare il caso alla luce delle nuove evidenze e delle incongruenze mai chiarite.

La richiesta si basa sull’ipotesi che la morte di Attilio Manca possa essere stata un omicidio di matrice mafiosa, legato al suo possibile rifiuto di fornire cure mediche a Bernardo Provenzano o ad altri esponenti di Cosa Nostra. Questa teoria acquisterebbe credibilità considerando il contesto storico del 2004, quando la latitanza di Provenzano era al centro dell’attenzione investigativa.

Gli sviluppi più recenti

Nell’aprile 2023, la famiglia ha formalizzato ufficialmente la richiesta di riapertura delle indagini presso la Procura di Roma. Tuttavia, a più di due anni da quella richiesta, la risposta delle autorità giudiziarie si fa ancora attendere.

I coniugi Manca

Nel maggio 2024, il caso ha ricevuto nuova attenzione mediatica quando sono emersi ulteriori dettagli sul coinvolgimento di un cugino di Manca in vicende giudiziarie collegate, aggiungendo nuovi tasselli a un puzzle già complesso. Ugo Manca, cugino di Attilio e nipote di Gioacchino, è stato indagato per atti persecutori. A denunciarlo, da anni, erano stati proprio i genitori di Attilio, che lamentavano la presenza di sostanze tossiche sversate nottetempo nel giardino della loro abitazione a Barcellona Pozzo di Gotto: aria irrespirabile, bruciore alla gola e piante che appassivano senza spiegazione.

Ora, il parente e vicino di casa è ufficialmente sotto inchiesta. Durante una perquisizione, i carabinieri hanno sequestrato presso la sua abitazione un bidone contenente sostanze non commercializzabili. Non è la prima volta che su Ugo Manca si concentrano i sospetti. Già in un’interrogazione parlamentare firmata anche dall’allora procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, e indirizzata ai ministri dell’Interno e della Giustizia, si ricordava come, nel 2004 e nel 2005, i coniugi Manca avessero presentato esposti alla procura in cui esprimevano forti dubbi sul coinvolgimento di soggetti barcellonesi vicini alla mafia locale – tra cui proprio il nipote Ugo – nella morte del figlio Attilio.

Cafiero de Raho

Secondo quanto riportato nell’interrogazione, Ugo Manca e suo padre Gaetano avrebbero iniziato a tenere atteggiamenti vessatori e intimidatori nei confronti dei genitori di Attilio.

Il contesto mafioso e le implicazioni

Il caso Manca si inserisce in un contesto più ampio. L’ipotesi che Cosa Nostra cercasse di “convincere” medici a fornire cure ai propri boss latitanti non è nuova negli annali giudiziari siciliani. Il rifiuto di collaborare poteva comportare conseguenze drammatiche, come dimostrerebbero altri episodi simili.

La figura di Bernardo Provenzano, all’epoca ancora latitante e già affetto dai gravi problemi di salute che lo avrebbero poi portato alla cattura nel 2006, rende plausibile l’ipotesi che l’organizzazione mafiosa stesse cercando assistenza medica qualificata e discreta.

Il supporto politico e istituzionale

La causa della famiglia Manca ha ricevuto il sostegno di diversi esponenti politici, tra cui la senatrice Barbara Floridia e la deputata Stefania Ascari, che hanno pubblicamente chiesto che le indagini sulla morte del giovane urologo proseguano.

A vent’anni dalla morte di Attilio Manca, il caso rimane aperto, anche se formalmente chiuso dalla magistratura. Le numerose incongruenze, le nuove evidenze emerse negli anni e la relazione della Commissione Antimafia mantengono viva la speranza di una riapertura delle indagini.

La famiglia continua la sua battaglia per la verità, sostenuta da un crescente movimento che chiede chiarezza su una morte che presenta troppe zone d’ombra e pochi punti di luce per essere archiviata definitivamente come un semplice suicidio.

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