Le indagini autoptiche psicologiche sono considerate un metodo per comprendere le cause delle morti incerte, risultato di numerosi eventi accaduti pre-mortem.
Roma – L’autopsia psicologica è un’indagine che si pone l’obiettivo di determinare la modalità di un decesso che risulta ambiguo e s’interroga su quali fattori possono aver influenzato la morte della vittima. In Italia, tuttavia, questa perizia post-mortem è uno strumento ancora oggi poco usato e, spesso, cosiderato discutibile. L’autopsia psicologica è una forma di perizia post-mortem: un supporto alle indagini dell’Autorità Giudiziaria e degli operatori della salute mentale, utile soprattutto nei casi di un possibile suicidio o di un omicidio-suicidio.
Procedura investigativa post-mortem, volta a scoprire tutti gli aspetti che possono rivelare le intenzioni rispetto alla morte del defunto, viene eseguita tramite una valutazione retrospettiva, che si affida a testimonianze di soggetti informati, all’esame di verbali di sopralluogo e ai riscontri dell’esame autoptico.
I compiti dell’autopsia psicologica
La prima funzione dell’autopsia psicologica è di tipo forense e fa ricorso ad un fondamentale strumento d’investigazione: lo studio della scena del crimine. La ricostruzione delle ultime 48 ore dall’evento criminoso è un tassello necessario per contesualizzare l’accaduto.
Spesso di può riscontrare un camuffamento della scena del crimine, lo staging, soprattutto nei casi in cui l’assassino cerchi di mascherare il suo reato, facendolo apparire come suicidio. Oppure, basti pensare ai vari casi in cui un parente o un amico, mosso da pietas, camuffa il suicidio per proteggere l’immagine del proprio caro.

Nei casi in cui né il medico-legale né la polizia sono in grado di ottenere elementi sufficienti per comprendere le dinamiche del decesso, l’autopsia psicologica si rivela l’ago della bilancia che aiuta a delineare genesi, movente e dinamica dell’evento. È in questo contesto che subentra la seconda funzione dell’autopsia psicologica.
Lo psicologo forense, con il compito di assistere il medico-legale per delineare la psicologia della vittima prima del decesso, risulta una figura chiave nei colloqui con le persone vicine alla vittima o per la compilazione di profili psicologici.
Come delineare la psicologia della vittima
L’indagine dell’autopsia psicologica consente di riscostruire la vita degli individui non solo attraverso l’analisi di foto o video, ma anche con lo studio di libri letti, gusti musicali o diari personali.
Dopotutto, i cambiamenti fisici e psicologici antecedenti al decesso sono aspetti importanti da prendere in considerazione. Non sempre è possibile condurre una valutazione psicologica prima della morte, poiché spesso ci si astiene dal ricevere aiuto e supporto. Conoscere la vita di un individuo, tramite interviste a familiari, amici e colleghi di lavoro, è un mezzo utile per ottenere una chiave di lettura per comprendere possibili fattori che possono aver portato al suicidio.

Al giorno d’oggi, persino i social network si dimostrano una valido supporto, poiché consentono di raccogliere messaggi scritti dalla vittima con indizi decisivi per il chiarimento delle circostanze in cui è avvenuta la sua morte. Spunti sulle cause del decesso, riflessioni in merito alle abitudini e alla personalità della vittima, al suo attaccamento alla vita o ai suoi pensieri, sono utili elementi per ottenere risposte. Tuttavia, si deve sempre valutare l’affidabilità delle informazioni.
Primi modelli e contesti di applicazione
Negli Stati Uniti, l’autopsia psicologica esisteva già dagli anni ’20. Molti scienziati cercarono di capire le cause comuni dell’ondata di suicidi a seguito della crisi finanziaria che sconvolse l’economia mondiale, ma fu grazie agli americani Edwin Shneidman e Norman Farberow che si ottenne l’elaborazione di una vera e propria indagine autoptica psicologica.

Tra gli anni ’50 e anni ’60, nacque un modello composto da 16 categorie sulle quali indagare retrospettivamente. Fondamentale passaggio successivo fu intervistare chi conosceva la vittima. L’obiettivo era quello di standardizzare il metodo attraverso la creazione di un protocollo. Solamente in seguito, in Italia, Gaetano De Leo, padre della Psicologia giuridica moderna, realizzò una guida completa, basata su 24 specifici criteri vittimologici, da tenere presente durante l’intero processo d’indagine, approfondendo aspetti relativi al rischio del suicidio.
Attualmente, in Italia, non è però in vigore nessun protocollo ufficiale per lo svolgimento dell’autopsia psicologica.
I limiti dell’autopsia psicologica
Il maggior punto debole è la mancanza di procedure standardizzate, come protocolli o scale oggettive. Altri limiti vengono riscontrati a seguito delle interviste ai familiari. Una forte risposta emotiva. Il pregiudizio degli informatori. Un’altra grande sfida etica è il coinvolgimento degli adolescenti nelle interviste.
Tuttavia, la comunicazione relativa ad atti suicidari giovanili, nel tempo, si è rivelata più efficace con i coetanei che con i familiari. Anche l’intervallo di tempo tra la morte della vittima e l’intervista ai conoscenti può influire in modo decisivo sulla qualità delle informazioni ottenute.

Infine, l’autopsia psicologica è caratterizzata da un alto grado di arbitrarietà da parte di chi viene intervistato.
Le interviste ai parenti o agli amici presentano un’assenza di visione oggettiva ed è su questo elemento che risiede la debolezza scientifica dell’autopsia psicologica. Si tende ad attribuire alla persona deceduta una personale percezione della sua personalità, che potrebbe essere totalmente errata. È bene ricordare che l’oggettività scientifica, soprattutto in contesti medico-legali, se è filtrata dai racconti di terze persone, è sempre discutibile.