Leonardo Caffo, il filosofo condannato per maltrattamenti e lesioni alla ex: “Era un pigmalione manipolatore”

Rese note le motivazioni della sentenza di condanna a 4 anni di carcere: “Violenze reiterate in una relazione tossica”.

Milano – Un “Pigmalione moderno” con una volontà manipolatoria radicata in “schemi patriarcali inaccettabili”: così il Tribunale di Milano ha descritto Leonardo Caffo, filosofo progressista e antispecista noto per le sue battaglie etiche, condannato a 4 anni di carcere per maltrattamenti aggravati e lesioni gravi ai danni della ex fidanzata. La sentenza, emessa l’11 dicembre scorso dalla quinta sezione penale presieduta da Alessandra Clemente, con giudici a latere Valerio Natale e Maria Pia Bianchi, dipinge un ritratto inquietante di un uomo che, dietro la facciata di intellettuale illuminato, ha esercitato per anni una sopraffazione sistematica sulla giovane compagna, minandone autostima e stabilità emotiva.

Il calvario della donna, iniziato nel 2019, si è protratto in un “crescendo” di vessazioni, insulti e violenze, culminate in episodi fisici come quello dell’agosto 2020, quando, durante un litigio, la ex ha subito una frattura scomposta a un dito, con accorciamento permanente. “Comportamenti reiterati e costanti”, scrivono i giudici nelle motivazioni, tesi a “emendare i difetti” della giovane, percepita come “inadeguata, insicura, non all’altezza” del filosofo affermato. Una dinamica che, secondo il collegio, affonda le radici in un controllo patriarcale e manipolatorio, lontano anni luce dai principi di uguaglianza e rispetto predicati da Caffo nei suoi saggi e interventi pubblici.

Dall’istruttoria dibattimentale è emerso un quadro chiaro: Caffo non si limitava a “spronare” la compagna, ma la mortificava con insulti legati alla sua persona, alle sue fragilità e alla sua famiglia. “Non perdeva occasione di rammentarle quello che avrebbe dovuto fare e non faceva, quello che avrebbe dovuto essere e non era”, si legge nella sentenza. La giovane, all’epoca poco più che ventenne, priva di una solida posizione sociale e schiacciata dal peso dell’autorevolezza dell’imputato, si è ritrovata intrappolata in una spirale di sopraffazione. “Si sentiva sbagliata, in colpa per le sue scelte, insicura di sé”, sottolineano i giudici, evidenziando come il filosofo abbia sfruttato questa vulnerabilità per imporle un dominio psicologico.

La violenza, soprattutto verbale ma a tratti anche fisica, non era occasionale. Gli insulti – spesso pronunciati anche davanti ad amici, per accentuare il senso di inadeguatezza della vittima – erano “molto frequenti”, un’abitudine che il Tribunale non ha esitato a definire “patologica”. In alcuni casi, la donna, esasperata, ha reagito adottando lo stesso registro aggressivo di Caffo, un fenomeno che i giudici interpretano come un disperato tentativo di difendersi da un contesto tossico. L’episodio del 2020, con la frattura al dito, è solo la punta dell’iceberg di una relazione segnata da un’asimmetria di potere e da un controllo ossessivo.

A colpire è anche la capacità manipolativa di Caffo, che non si limitava alla ex ma si estendeva al suo entourage. “Emerge chiaramente” dalle testimonianze, scrivono i giudici, come l’imputato riuscisse a influenzare anche chi gli stava intorno, costruendo un’immagine di sé inattaccabile, in contrasto con i comportamenti emersi in aula. La credibilità della vittima, invece, non è mai stata messa in dubbio: il Tribunale ha ritenuto le sue dichiarazioni coerenti e corroborate da prove materiali, come referti medici e messaggi.

La condanna a 4 anni, che include il divieto di avvicinamento alla ex, segna una svolta in una vicenda che ha scosso l’opinione pubblica, soprattutto per il profilo dell’imputato. Leonardo Caffo, autore di libri come Fragile umanità e voce di spicco nel dibattito sull’antispecismo, si è sempre presentato come un pensatore progressista, attento ai diritti e alle fragilità. Eppure, la sentenza svela un lato oscuro, quello di un uomo che, lungi dall’applicare i suoi ideali, ha riprodotto schemi di dominio arcaici e violenti.

La difesa, rappresentata dall’avvocato Marco Gallina, ha già annunciato ricorso, sostenendo che i fatti siano stati “fraintesi” e che manchi una valutazione approfondita del contesto relazionale. Ma per il Tribunale di Milano il verdetto è netto: dietro il filosofo si nascondeva un manipolatore, un Pigmalione che, anziché scolpire un’ideale di perfezione, ha spezzato la vita di chi gli stava accanto.

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