Tedesca uccisa e bruciata in Cilento, il marito nega e chiede nuove indagini

L’avvocato di Kai Dausel, in carcere per l’omicidio della moglie Silvia Nowak: “Nessuna traccia ematica sull’arma del delitto e i graffi sul corpo dell’indagato causati dai cani non dalla vittima“.

CASTELLABATE (Salerno) – La difesa di Kai Dausel, 62 anni, il cittadino tedesco accusato dell’omicidio della moglie Silvia Nowak, chiede indagini suppletive alla Procura della Repubblica di Vallo della Lucania. Il 13 gennaio scorso si è svolta l’udienza del Riesame per l’indagato che rimane comunque in carcere. L’avvocato difensore, Felice Carbone, ha rigettato l’accusa di omicidio e distruzione di cadavere ma non ha chiesto la libertà per il suo assistito affinché si curi meglio le diverse patologie di cui è affetto. Dausel si trova in carcere, a Vallo della Lucania, dallo scorso 16 dicembre quando scattarono le manette perché ritenuto responsabile di avere ucciso la moglie, berlinese di 53 anni, e di averne carbonizzato la salma nel tentativo di farne sparire il cadavere. Il corpo senza vita venne poi ritrovato il 18 ottobre scorso nella pineta di Ogliastro Marina, frazione di Castellabate, a poca distanza dalla villa di via Arena dove la coppia abitava sino a prima della tragedia.

Silvia Nowak e Kai Dausel

Davanti al giudice il sospettato ha ribadito che i rapporti con la vittima erano buoni e non ci sarebbero stati dissapori, cosa smentita da altre testimonianze. Il penalista dell’indagato ha chiesto un’indagine integrativa agli inquirenti per chiarire aspetti che il legale di fiducia dell’uomo ritiene trascurati come, per esempio, la non databilità della traccia ematica trovata su un paletto di legno e l’assenza di tracce ematiche sull’ascia sequestrata, considerata l’arma del delitto. Inoltre l’avvocato ha spiegato che i graffi presenti sul corpo di Dausel sarebbero stati causati dai cani e non dalla vittima nell’estremo tentativo di difendersi, chiedendo ulteriori perizie su queste ferite. Nowak, animalista ed ecologista con la passione per i cani, era sparita da casa il 15 ottobre scorso, intorno alle 16.

Telecamere stradali private e di sorveglianza (oltre ad alcune testimonianze oculari) avrebbero inquadrato la donna mentre camminava in direzione della pineta con un guinzaglio in mano ed una ciotola sino a sparire nella fitta vegetazione. Alle 16.11 circa della stessa giornata della scomparsa di Silvia, una telecamera privata, ubicata nelle vicinanze di casa della coppia di tedeschi, avrebbe registrato prima una sequenza di immagini in cui si vede un uomo a torso nudo, con una particolare conformazione fisica, uscire dalla villa di via Arena alle 16.07 del 15 ottobre, poi “l’urlo straziante” di una donna. Dopo appena 24 secondi l’urlo si sarebbe ripetuto. Per gli inquirenti quella voce apparteneva a Silvia Nowak, e le grida risalirebbero forse a qualche minuto prima di morire ammazzata. Il video, completo di audio, è stato poi posto agli atti dell’inchiesta condotta dai carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Agropoli e della Stazione di Santa Maria di Castellabate.

La pineta dove è stato ritrovato il cadavere carbonizzato della vittima

Il cadavere carbonizzato della donna veniva ritrovato il 18 ottobre successivo quasi completamente bruciato. L’uomo aveva più volte ripetuto di essere estraneo ai fatti ma anche davanti alle telecamere la sua versione non era mai stata convincente. A seguito di un’informativa dell’Interpol si era poi saputo che su Kai Dausel graverebbe un rilevante passato criminale che andrebbe da una condanna per furto, negli anni ’90, al coinvolgimento in un’inchiesta riguardante una grossa frode informatica, consumatasi nel 2014, sino ad essere sospettato di omicidio durante un’indagine che risale al 1999. Quest’ultimo dettaglio avrebbe attirato l’attenzione degli inquirenti che, confortati da altri pesanti indizi, giungevano alla conclusione di richiedere la custodia cautelare in carcere per Kai Dausel che finiva dietro le sbarre.

Dausel seduto sulla panchina installata in memoria di Silvia

C’è da dire che un giorno prima dell’arresto l’uomo aveva partecipato all’iniziativa promossa da un’associazione di tutela delle donne per collocare una panchina bianca in memoria di Silvia. Dausel si era fatto fotografare seduto su quella panchina ed aveva reiterato ai giornalisti la ferma volontà di cercare e perseguire chi gli aveva ucciso la povera Silvia. Per gli inquirenti invece l’indagato mentirebbe sapendo di mentire perché la vittima sarebbe stata uccisa lo stesso giorno della sparizione con un oggetto contundente e poi accoltellata. Il suo assassino, in seguito, avrebbe dato fuoco al corpo, senza riuscire a cancellarne le tracce. A denunciare la scomparsa “simulata della donna era stato proprio il compagno che oggi continua a proclamarsi innocente.  

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