La Suprema Corte chiamata a decidere sul ricorso del legale catanese contro l’archiviazione della querela nei confronti dell’Avvocato dello Stato, che definì “farneticanti elucubrazioni” le argomentazioni del collega.
Catania – L’avvocato Giuseppe Lipera, noto per il suo impegno nella tutela della dignità della professione forense, ha deciso di portare avanti un ricorso in Cassazione contro l’archiviazione della querela presentata nei confronti dell’Avvocato dello Stato, Angelo Francesco Nicotra. Al centro della controversia una frase contenuta in una memoria difensiva redatta da Nicotra, che descriveva le argomentazioni dell’avvocato Lipera come “farneticanti elucubrazioni – dal valore più politico che giuridico”.
La querelle era nata durante il procedimento civile davanti al Tribunale di Catania, riguardante la drammatica vicenda di una giovane catanese nata in Italia da genitori tunisini, in seguito rapita da bambina dal padre e portata contro la sua volontà in Tunisia. La giovane era riuscita a rientrare in Italia a bordo di un barcone poi approdato a Pantelleria, dopo aver rischiato la vita in mare, con l’unica speranza di ricongiungersi alla propria madre e ai suoi fratelli, residenti a Catania. Tuttavia, al suo arrivo, la ragazza aveva ricevuto un decreto di espulsione emesso dalla Questura di Trapani, contro il quale l’avvocato Lipera ha presentato tempestivamente ricorso.
Da quel momento Lipera ha intrapreso una strenua battaglia giudiziaria per ottenere giustizia, difendendo il diritto della giovane di rimanere in Italia, sua terra natale. Nel corso del procedimento, davanti al Giudice della prima sezione Civile di Catania, Rosario Maria Annibale Cupri, l’avvocato Lipera aveva chiesto la cancellazione della frase, ritenendola offensiva e non conforme ai principi di continenza e correttezza che dovrebbero guidare l’operato degli avvocati. A seguito del rifiuto dell’Avvocato dello Stato, il legale catanese aveva presentato una querela per diffamazione. Tuttavia, il procedimento penale è stato archiviato dal Gip, che ha ritenuto l’espressione “Un giudizio critico aspro e pungente, ma non un gratuito attacco denigratorio o lesivo della reputazione personale e professionale dell’avvocato Giuseppe Lipera”.
Lipera ha replicato sostenendo che la decisione rappresenta un pericoloso precedente per la professione forense, rischiando di legittimare l’uso di linguaggi inappropriati e potenzialmente lesivi nei confronti di colleghi e magistrati. Secondo il legale “il diritto di critica non deve mai tradursi in un insulto gratuito” e il linguaggio utilizzato nei contesti legali dovrebbe sempre mantenere un livello di rispetto e decoro.
Anche il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catania ha espresso preoccupazione per l’accaduto, sottolineando l’importanza di rispettare il principio di continenza negli atti difensivi. E in seguito anche la Camera Penale Serafino Famà di Catania ha espresso solidarietà a Lipera, definendo le parole rivolte al collega come “intollerabili”. La vicenda ha sollevato un ampio dibattito, evidenziando la necessità di preservare l’etica e la dignità della toga.
Nel presentare il ricorso in Cassazione, Lipera ha ribadito che la sua azione non mira a ottenere un risarcimento, tanto da dichiarare che, qualora la Corte accogliesse la sua richiesta, si costituirebbe parte civile chiedendo un risarcimento simbolico di un euro.
“La mia battaglia – ha affermato il penalista – è rivolta a tutelare il decoro di tutti gli avvocati, nonché dei giudici e pubblici ministeri, affinché non si accetti l’idea che l’insulto possa essere una modalità legittima di critica”.
Il ricorso in Cassazione, tuttavia, è stato inspiegabilmente assegnato alla Settima sezione Penale (i cui collegi si occupano di dichiarare inammissibili i ricorsi). Nonostante questo particolare il difensore di Lipera, l’avvocato Graziella Coco, ha depositato memorie per ottenere che la trattazione del caso venga trasferita fuori dalla Settima sezione. Si attende ora il verdetto della Suprema Corte, la cui pronuncia, se favorevole, potrebbe rappresentare un importante punto di riferimento per l’intera comunità forense, ridefinendo i limiti del linguaggio e della critica nelle aule giudiziarie.