Per i reati di associazione per delinquere, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e turbata libertà degli incanti. Il giro era capitanato da Nicola Sansolini, 64 anni, direttore dell’Area tecnica dell’ASL Bari. Decine di perquisizioni in corso.
Bari – Appalti per la manutenzione negli ospedali dell’ASL Bari affidati a imprenditori in cambio di regali e favori. Il tutto scoperto e immortalato grazie alle telecamere che la Guardia di finanza ha nascosto negli uffici dell’Area tecnica della stessa Asl. In manette sono finite 10 persone (6 in carcere e 4 ai domiciliari): tutti dovranno rispondere dei reati di associazione a delinquere, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e turbata libertà degli incanti.
L’associazione a delinquere scoperta dagli investigatori sarebbe stata messa in piedi e condotta da Nicola Sansolini, 64 anni tarantino, direttore dell’Area tecnica dell’ASL Bari. Gli indagati sono complessivamente 17, ma l’ordinanza di custodia cautelare è scatta “solo” per dieci, tra cui dirigenti e funzionari dell’azienda sanitaria barese, alcuni dei quali già noti agli inquirenti per essere stati stati coinvolte in precedenti indagini nel settore della sanità.
Oltre a Sansolini sono finiti in manette, su richiesta del procuratore Roberto Rossi, anche i funzionari dell’ASL Bari Nicola Iacobellis, Concetta Sciannimanico, gli imprenditori Giovanni Crisanti e Nicola Minafra, ed un rappresentante, Ignazio Gadaleta. Disposti invece gli arresti domiciliari per Paola Andriani, Nicola Murgolo, Cataldo Perrone e Giuseppe Ricci.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti – e relazionato nelle oltre 600 pagine di ordinanza firmate dal gip Giuseppe Ronzino – il direttore dell’Area tecnica della Asl Bari, Nicola Sansolini, ha ricevuto nel settembre 2021 denaro e beni in natura – cassette di frutta e verdura e confezioni di vino e olio – perché favorisse l’aggiudicazione di un appalto da 563mila euro per la riqualificazione antincendio di un ambulatorio della Asl di Bari in via Cotugno. Con lui collaboravano al sistema Donato Mottola e Francesco Girardi, accusati per questo specifico episodio di turbativa d’asta. I tre dirigenti sanitari avrebbero percepito fino a 30mila euro per l’assegnazione degli appalti. In alcuni casi avrebbero ottenuto regali costosi, come ad esempio una borsa griffata del valore di 2.100 euro per la moglie di Nicola Iacobellis (anch’egli arrestato), o lavori di falegnameria da 7mila euro a casa dell’ingegnere e della moglie (finita ai domiciliari) in cambio dell’aggiudicazione dei lavori per il restauro della cappella ospedaliera del Sacro Cuore di Triggiano.
Secondo le indagini della Finanza, Mottola – già arrestato nel 2021 per aver pagato una tangente all’allora capo della Protezione civile pugliese, Mario Lerario – avrebbe partecipato alla gara per fare un favore a Girardi, la cui impresa – la G.Scavi – sarebbe stata predestinata ad aggiudicarsela in accordo con Sansolini. I due avrebbero inoltre concordato la percentuale di ribasso da indicare: 8% per Girardi e 30% per Mottola.
Come operava il sistema di tangenti: tutte le intercettazioni
In particolare, secondo l’impostazione accusatoria accolta dal gip, le attività di indagine avrebbero permesso di dimostrare l’esistenza di un vero e proprio mercimonio della funzione pubblica negli uffici strategici della ASL di Bari, e in particolare nella U.O.C. di “Ingegneria Clinica”, nell’U.O.S. “Edilizia Sanitaria” e nell’U.O.S. “Edilizia Sanitaria”. I tre pubblici ufficiali – Sansolini, Mottola e Girardi – operavano nella gestione degli appalti pubblici facendo gli interessi di una cerchia ristretta di imprenditori loro sodali. Le intercettazioni sono eloquenti:
“E poi mi ha detto… – ma là mi hanno detto che la perizia… al SAN PAOLO, dovete dargli… avete incassato la perizia… dovete dare gli altri soldi…- ed io gli ho detto – Giovà… noi… è stata approvata la perizia, e gli abbiamo dato i primi trenta (ndr 30.000 euro)… adesso… facci prendere almeno il primo SAL della perizia, e gli porteremo gli altri e trenta (ndr. 30.000 euro) … -… – ah … ok -… perché questi…”, si legge in un passaggio reso noto dalla Procura.
L’operato dei tre pubblici ufficiali avveniva in spregio e in violazione dei principi di imparzialità, trasparenza e conflitto di interessi:
“Sì, ma qui non si capisce come mai il flusso è solo verso l’esterno”! … “il flusso è sempre verso l’esterno… ma non c’è nessun rientro…” o ancora “questo ci ha preso a noi per la gallina dalle uova d’oro, cioè questo si sta frecando nu sacc d t’rnis (soldi) di contanti da noi… (…)”.
Tra i vari sistemi adottati dai per “occultare” i comportamenti illeciti, c’era quello di commissionare l’acquisto di oggetti di valore (es. gioielli, pelletteria griffata, ecc.). Ciò è accaduto, ad esempio, quando uno degli indagati, dopo aver individuato in internet l’articolo che gli interessava, ha fornito a un imprenditore indicazioni sulle modalità di acquisto on-line, stampando la schermata con il codice di riferimento dell’articolo:
“(…) allora il sito è CHANEL e questo è il coso… e il codice è questo qui… poi bisogna andare qua… boh!…. come si fa?) (…) che avete deciso per il mio orecchino? gli hai dato il codice? Hai preso qualche decisione? O niente? amore…”
Il flusso di denaro generato dal sistema delle “tangenti” era talmente grande da renderne addirittura difficile l’utilizzo:
(…) “Aumentiamo! invece di diminuire aumentiamo! Il problema è che come ti dicevo non riesci a… ormai è diventato difficile anche… capito? Veramente è diventato difficile utilizzarli! Io ce la metto tutta, ma… quest’anno è stato tosto!” o ancora “(…) Se mi girano i coglioni comincio a spendere tutto, eh! domani guarda mi compro l’orecchino! E cominciamo con l’orecchino! (…)”
Secondo gli inquirenti, l’alterazione e la falsificazione degli atti amministrativi dei procedimenti d’appalto aveva come obiettivo quello di perseguire il massimo profitto a scapito degli interessi della collettività:
“(…) Ritardo di ott… sette mesi! sette mesi di ritardo! allora io, perchè… per non perdere i soldi ho dovuto dichiarare il falso… ho dovuto dichiarare che i lavori sono finiti il 30 dicembre!”
L’associazione, faceva ricorso ai subappalti illeciti e, addirittura, attivava l’esecuzione di opere pubbliche in assenza di determina di affidamento. I lavori venivano poi regolarizzati da altra impresa connivente (indicata al pubblico ufficiale dalla impresa esecutrice dei lavori, così da dare un’apparenza di legittimità del “principio di rotazione”. In caso di varianti in corso d’opera o dei cosiddetti “SAL” da parte dell’impresa appaltatrice, si ricorreva alla predisposizione e alla realizzazione della documentazione tecnica riguardante alcune funzioni tecniche riservate normativamente al direttore dei lavori e al R.U.P. della procedura:
“Eeeh…una cosa Ignazio, senti, io ho bisogno …io il SAL BIS ho visto… vabbé, va benissimo…eeehm diciamo l’excell va bene, l’unica cosa che ho bisogno che venga riportato sul SAL perché io, ti dico la verità, non lo so fare”.
Tra i pubblici ufficiali e i loro imprenditori di riferimento c’era un legame di fiducia reciproca tale che questi ultimi fungevano da “cassaforte” del denaro derivante dall’operato corrotto dei primi. I soldi venivano traferiti in luoghi terzi e sicuri, così da evitare eventuali azioni giudiziarie. Lo scopo era ovviamente salvaguardare la “ricchezza” illecitamente accumulata.
“(…) si però quell’operazione bisogna farla … portare via tutto, …questo…” […]“Eh… l’alternativa sarebbe la cassaforte a Bari, ma… che cambia?”.
I costi lievitavano all’inverosimile nella fase di realizzazione delle commesse, con grave nocumento per il bilancio pubblico:
“Io ho stimato che di quei lavori forse 5 mila euro stanno (…) Come li giustifichiamo gli altri 120 mila euro?”.
Gli ampi margini di discrezionalità che erano stati dati, ad esempio, a un imprenditore nella redazione dei computi metrici avrebbe comportato una maggiorazione dei costi di cui i tre erano perfettamente a conoscenza:
“(…) ti ho spiegato che, quale era il problema? che i prezzi gonfiati quando gli feci vedere il conto (incompr.) erano i prezzi al doppio, al triplo! senza…. disc – non so da dove cazzo (incompr.) questo è un computo fasullo…”
Il medesimo schema corruttivo adottato dai pubblici ufficiali veniva inoltre esteso anche in altre vicende con protagonisti altri imprenditori o referenti di imprese appaltatrici che, seppur non strettamente legati dal vincolo associativo con i primi, avrebbero contribuito ad allungare la lista dei reati:
“(…) tu fammi solo capire una cosa, abbiamo delle… ancora delle… degli sponsor o andiamo di tasca nostra? (…)”.
Il sistema dei “pizzini”
Per eludere eventuali attività di sorveglianza, gli indagati adottavano particolari “accortezze” tra cui la prassi di far depositare agli imprenditori i telefoni cellulari negli uffici dei pubblici ufficiali; gli incontri proseguivano poi in luoghi di passaggio o fuori dai locali che ospitano gli uffici dall’ASL Bari. Per comunicare all’interno degli uffici ed evitare di parlare, inoltre, si ricorreva a fogli di carta – dagli stessi indagati definiti “pizzini” – attraverso i quali veicolare informazioni “sensibili”.
Un altro episodio sintomatico della capacità degli arrestati di dissimulare la realtà giunge dalla spiegazione, durante un dialogo intercettato, delle giustificazioni che uno di essi avrebbe addotto in caso di una eventuale perquisizione:
“[…] …se vengo a fare una perquisizione a casa tua e ti trovo 20 mila euro in contanti, tu puoi dire: “Io quei 20 mila euro li ho avuti da mio padre che mi ha dato…”… (…) “…mi ha dato l’eredità, ce li aveva”, oppure: “Io percepisco il fitto a nero, quelli sono tutti i fitti che io ho percepito e che ho tenuto… che ho tenuto da parte”. Tu lo puoi dimostrare che è una tangente? No. Allora il cristiano lo puoi arrestare, però poi al processo, o comunque lo puoi indagare, ma al processo se ne uscirà pulito perché quello… l’avvocato dimostrerà che quei soldi dove sta scritto che è la tangente? Mica sta scritto sopra alla banconota “Tangente”. Quindi tu… (…) …per poter arrestare e fare il mazzo, devi fare… devi avere la flagranza di reato, che è una cosa quasi impossibile da fare”.
La Guardia di finanza sta anche effettuando decine di perquisizione nei confronti dei 17 indagati, delle persone giuridiche e dell’ente pubblico coinvolti. L’operazione in tutto ha coinvolto oltre 100 finanzieri insieme ai cash dog in uso alle unità cinofile della Gdf, con il preciso scopo di scovare eventuale denaro contante nascosto dagli arrestati.