Estorsione e diffamazione, chiesti 9 anni e mezzo per il giornalista Pino Maniaci

Volto dell’emittente Telejato, il cronista è accusato di aver preso denaro per ammorbidire la linea della Tv su alcuni politici, estorsione per cui è stato assolto in primo grado.

Palermo – Come promesso, all’annuncio della cattura di Matteo Messina Denaro si era tagliato gli inconfondibili baffi. E lo aveva fatto in diretta televisiva, durante il telegiornale di Telejato, l’emittente palermitana nota per le sue campagne contro Cosa nostra, di cui Pino Maniaci è il vulcanico patron e conduttore, obiettivo negli anni di svariate minacce e attentati mafiosi.

Ma la fama di indomito fustigatore delle cosche e paladino della legalità non ha salvato Maniaci da una richiesta di condanna formulata in appello dalla Procura generale a 9 anni e mezzo di reclusione per diffamazione, ma soprattutto estorsione.

In primo grado questa seconda accusa era caduta, e Maniaci si era visto condannare soltanto per diffamazione ad un anno e cinque mesi. Ma ora la Procura ci riprova. Secondo l’accusa, sostenuta dalla pm della Dda di Palermo, Amelia Luise, il giornalista avrebbe preteso favori e denaro da amministratori locali minacciandoli in caso di rifiuto di avviare campagne mediatiche negative nei loro confronti.

Il processo a Maniaci ha preso origine da un’indagine della Dda di Palermo sulla mafia di Borgetto, paese della provincia di Palermo. Il nome del giornalista venne fuori per caso durante un’intercettazione captata dai carabinieri, nella quale emerse la consegna di una somma di denaro a Maniaci, dazioni di contanti che si sarebbero poi ripetute nel tempo e che gli investigatori associano al tentativo riuscito del volto di Telejato di farsi pagare per evitare commenti critici o per ospitare le repliche degli interessati a seguito di inchieste che li ponevano in cattiva luce.

Le vittime dell’estorsione erano stati, secondo gli inquirenti, i sindaci di Partinico e Borgetto e un assessore di quest’ultimo comune. La prossima udienza davanti alla corte presieduta da Luciana Caselli è fissata per il 18 dicembre e ospiterà le repliche dei legali del giornalista, Bartolomeo Parrino e l’ex magistrato Antonio Ingroia. Gli avvocati in primo grado hanno dimostrato che in realtà i soldi dati all’ex sindaco di Borgetto non erano frutto di un’estorsione, ma del pagamento di una pubblicità messa in onda per conto della moglie dell’ex sindaco per la sua attività commerciale.

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