Vicino di casa della vittima, il 19enne di origini indiane ha ammesso di aver ucciso la giovane di Costa Volpino, senza però spiegare agli inquirenti il motivo.
Costa Volpino (Bergamo) – La scena del delitto è ormai cristallizzata: i colpi di forbici, forse una decina, Sara Centelleghe, 18 anni, che stramazza al suolo nel suo appartamento al terzo piano del civico 124 di via Nazionale a Costa Volpino, nella Bergamasca; il killer, Jashan Deep Badhan, un vicino e forse un amico della vittima, 19 anni, che nell’impeto dell’aggressione mortale si è ferito a sua volta, fugge lasciando dietro sé abbondanti tracce di sangue.
Per raggiungere l’abitazione dove Sara abitava con la madre, il ragazzo di origine indiana aveva dovuto soltanto salire una rampa di scale e lo ha fatto in ciabatte, le stesse che ha perso durante l’omicidio, tanto da essere costretto a rientrare a casa a piedi nudi. Il sangue e le impronte portano gli inquirenti nel vano dei box, che mette in collegamento le due palazzine di Sara e Jashan. L’assassino è passato di lì e forse in garage, adesso finito sotto sequestro, si è cambiato i vestiti sporchi di sangue. Quando alle otto di ieri mattina i carabinieri suonano al suo appartamento, il 19enne dorme ancora. Lo portano in caserma e dopo un lungo interrogatorio il giovane crolla ammettendo l’omicidio.
Manca però un tassello fondamentale per chiudere il cerchio di questo orrendo delitto: il movente. Jashan ha riconosciuto la sua colpa senza spiegare il motivo della sua rabbia omicida, che cosa sia successo in quei quindici, venti minuti che hanno preceduto l’una di notte tra venerdì e sabato, in quell’incontro veloce con Sara, mentre l’amica della vittima, Sara anche lei, era scesa a fumare una sigaretta e prendere delle bibite al distributore automatico. Forse lo dirà al gip durante l’interrogatorio di convalida. Pare che inizialmente abbia escluso il movente sessuale, eppure l’efferatezza dell’omicidio, la rapida sequenza delle forbiciate, farebbero pensare proprio ad un delitto d’impeto a sfondo passionale, forse in seguito ad un diniego.
Jashan è un ragazzo figlio di immigrati, come tanti nella Bergamasca e in Lombardia. Due fratelli più piccoli e alle spalle una famiglia di onesti lavoratori. Nessun problema apparente di integrazione, veste jeans e felpe con cappuccio come la gran parte dei suoi coetanei. Lavorava come magazziniere e sui social si presentava come “Coolest Bad Boy” (Il cattivo ragazzo più figo), facendosi chiamare semplicemente “Deep” o “Deep La Rue” .
Gli inquirenti hanno in mano la sua confessione e una serie di solidi indizi ritenuti convergenti. Eppure non si sbilanciano, ritenendo che il quadro, in mancanza di un movente, non sia ancora del tutto completo. Resta da chiarire la natura e la qualità del rapporto che intercorreva tra vittima e carnefice. Da escludere dallo scenario la questione della droga, problema che avrebbe segnato il passato dell’aggressore, fantasmi che non si sarebbe mai lasciato del tutto alle spalle.