La corte d’appello di Palermo ha ridotto le condanne per il venire meno dell’aggravante di mafia.
Palermo – Scadono i termini della custodia: tutti liberi nelle prossime ore i fedelissimi di Matteo Messina Denaro. La corte d’appello di Palermo ha deciso di ridurre le pene per diversi capi e gregari mafiosi trapanesi legati al boss, a seguito della revisione disposta dalla Cassazione. La riduzione delle condanne è avvenuta principalmente per la caduta dell’aggravante del reimpiego economico dei proventi dell’attività mafiosa, che ha influito significativamente sulle sentenze.
Nello specifico, gli sconti di pena hanno riguardato Nicola Accardo, boss di Partanna detenuto al 41 bis, passato da 15 a 10 anni, e Calogero Guarino, che dagli 11 del primo grado è passato agli 8 anni in appello. A 8 anni è stato condannato Giuseppe Tilotta, che aveva avuto 11 e 4 mesi; 9 anni e 8 mesi per Vincenzo La Cascia, capomafia del clan di Campobello di Mazara (dove si nascondeva Messina Denaro), anche lui al 41 bis. Al boss Raffaele Urso, pure lui di Campobello di Mazara, sono stati dati 11 anni e 2 mesi (aveva avuto 18 anni e 4 mesi). Per Andrea Valenti, parente del boss Bonafede, si è invece passati dagli 8 anni ai 7 anni e sei mesi, mentre Filippo dell’Aquila dai 12 anni del primo grado agli 8 anni e 8 mesi e Angelo Greco dagli 8 ai 6 anni dell’appello. Infine, 8 anni per Antonino Triolo, che aveva avuto 11 anni e 4 mesi. Paolo Buongiorno, che aveva avuto 7 anni e due mesi in secondo grado, ne ha avuti 6. E’ stata confermata invece la condanna a un anno e 10 mesi per Bartolomeo Tilotta, accusato di favoreggiamento.
Il processo, che si celebrava in abbreviato, nasce da una indagine della Dda di Palermo che coinvolgeva anche il cognato di Messina Denaro, Gaspare Como, che ha scelto il rito ordinario. Secondo l’accusa, Como sarebbe stato designato da padrino, per un certo periodo, “reggente” del mandamento di Castelvetrano. L’inchiesta ha fatto emergere interessi del clan nel settore delle scommesse online e in attività estorsive e di danneggiamento. Originariamente tra gli imputati c’era anche Rosario Allegra, marito di Giovanna Messina Denaro, sorella del boss latitante, morto in carcere.