Paolo Adinolfi, il “giudice dimenticato”: alla Camera un incontro a 30 anni dalla morte

Organizzato dalla deputata M5S Stefania Ascari. Con lei Lorenzo, il figlio del magistrato, Federico Cafiero De Raho e Guido Salvini.

Roma –  “Trent’anni sono passati dalla scomparsa del giudice Paolo Adinolfi. Da quel 2 luglio 1994 il silenzio ha avvolto la sua figura umana, ma soprattutto quella professionale. Adinolfi, infatti, a oggi non viene riconosciuto come una vittima del proprio lavoro, nonostante la seconda inchiesta condotta dalla procura di Perugia, seppur arrivata ad archiviazione, abbia sancito che sì, Paolo Adinolfi è stato ucciso e il suo corpo occultato a causa del lavoro svolto al Tribunale fallimentare di Roma, il cosiddetto porto delle nebbie”. Lo si legge in una nota con cui Stefania Ascari, deputata del Movimento 5 Stelle, presenta l’incontro “Paolo Adinolfi, il giudice dimenticato” che si tiene oggi nella Sala stampa della Camera.

“Un silenzio a cui la famiglia si oppone tenacemente, nella quasi completa indifferenza istituzionale. Un giudice dalla schiena dritta, che probabilmente ha pagato la sua incorruttibilità”, sottolinea Ascari, che darà la parola al figlio del giudice Lorenzo Adinolfi, Federico Cafiero De Raho, deputato del Movimento 5 Stelle ed ex toga, l’ex magistrato Guido Salvini ed il giornalista Gianluca Zanella. Ma qual è la storia del giudice Adinolfi sprofondato nel nulla e oscurata dall’indifferenza? Di sicuro ci sono intrecci spaventosi tra Banda della Magliana, l’inchiesta di Tangentopoli e alcuni crack finanziari che andavano a toccare l’intoccabile. E’ il 2 luglio del ’94. “Torno più tardi, ci vediamo a pranzo”, ma quel giorno a casa il magistrato, 52 anni, non tonerà più.

Stefania Ascari

Da venti giorni è un giudice della Corte d’Appello ma è nella sua vita precedente, quella di magistrato alla Sezione Fallimentare, che si affastellano ombre e segreti. Quel famoso due luglio 1994, mentre nei palazzi del potere è scoppiato il terremoto dell’inchiesta Tangentopoli, il giudice esce di casa in via della Farnesina, intorno alle nove del mattino, per alcune incombenze. Alla guida della sua ‘BMW 316′ raggiunge il Tribunale civile di viale Giulio Cesare e allo sportello della banca interna, completa il trasferimento di un conto corrente. Viene notato da un conoscente in fila allo sportello, si tratta dell’avvocato Paolo Loria, che nella sua carriera ha difeso anche Raniero Busco nel caso di via Poma.

Il giudice paga le bollette per la madre, poi va in Corte d’Appello. Dopo una serie di altri spostamenti per alcune commissioni, verso le 11 il magistrato va all’ufficio postale del Villaggio Olimpico (Via Nedo Nadi), dove spedisce alla moglie un vaglia di 500.000 lire, un gesto inspiegabile. Poi, probabilmente, Adinolfi ha preso un autobus per raggiungere la madre al quartiere Parioli, in Via Scipio Slataper. Quel pomeriggio sua moglie dà l’allarme alle forze dell’ordine, ma la notizia della scomparsa del giudice viene diffusa dai media solo il giorno successivo. Un altro mistero è la chiamata di un testimone al 113 prima che i Tg diano notizia della scomparsa. E ancora, 36 ore dopo la scomparsa, le chiavi di casa e dell’auto di Adinolfi vengono ritrovate nella buca delle lettere del condomino dell’anziana mamma, dove però nessuno ricorda di aver visto il giudice il giorno prima e dove, stranamente, nessuno ha visto le chiavi.

Gli uffici di piazzale Clodio

Il bibliotecario del tribunale di Roma, Marcello Mosca, durante la trasmissione televisiva “Chi l’ha visto” del 15 novembre 1994 ha sostenuto di aver visto il magistrato la mattina della scomparsa in compagnia di un uomo di 30-35 anni, di media statura, ben vestito, nella circostanza il magistrato aveva ritirato una per una sentenza richiesta all’archivio. Le inchieste sulla sua scomparsa sono state archiviate, la prima molto frettolosamente nel 1996 mentre l’altra più approfondita nel 2003. Nel ’96 si liquidò la scomparsa sostenendo che “L’allontanamento volontario è ipotesi più probabile delle altre, scrissero i titolari dell’inchiesta. Successivamente le indagini furono riaperte e i familiari s’illusero che fosse giunta la svolta, per quanto tragica.

Un faccendiere siciliano, tal Francesco Elmo, arrestato per riciclaggio in Campania, aveva infatti chiesto di “liberarsi da un peso” e messo a verbale che la banda della Magliana aveva ucciso Adinolfi, per evitare che affiorassero i legami tra servizi segreti deviati, società-fantasma nel settore immobiliare e grande “mala”. La procura di Perugia, titolare delle indagini sulla scomparsa di Adinolfi, fece scavare a Villa Osio, residenza del presunto cassiere della Magliana, Enrico Nicoletti (poi requisita e diventata Casa del jazz), in cerca del cadavere (non trovato), e continuò a lavorare sullo scenario di connessioni losche e insospettabili. Pensare di rinvenire il corpo del giudice in una proprietà di Nicoletti appare una mera utopia, certamente il “cassiere” della banda della Magliana non era uno sprovveduto.

Enrico Nicoletti

Per la seconda volta la procura è costretta a richiedere l’archiviazione, ma nella richiesta si legge: “Le nuove indagini inducono a rivedere il giudizio riguardo all’origine volontaria della scomparsa del dr. Adinolfi e a escludere la morte per cause naturali o incidente, o la perdita di memoria…”. Quasi certa “l’azione delittuosa”, insomma. E la figura di Nicoletti gravita comunque nella storia. Il giudice è stato testimone della caduta di alcuni colossi finanziari quando era alla Fallimentare. Come il crack della ‘Fiscom’, società attorno alla quale ruotavano figure dei Servizi Segreti e della malavita organizzata, nel 1992. Due anni prima della tragedia. Per questa vicenda fu condannato in primo grado proprio Nicoletti, e per anni a Roma si disse che il giudice fosse sepolto sotto la villa dove aveva vissuto il boss.

Ma anche il crack della Ambra assicurazioni: pochi giorni prima di sparire Adinolfi aveva contattato al telefono il pm di Milano, Carlo Nocerino, titolare dell’inchiesta per bancarotta, per offrire il suo contributo ‘come privato cittadino’. Ma a testimoniare sul crac della Ambra non arrivò mai. L’inchiesta per la scomparsa di Paolo Adinolfi è stata definitivamente archiviata, nonostante anche gli inquirenti fossero convinti dell’ipotesi delittuosa e da anni la famiglia non si dà pace. Nella finanza nera, nell’oscuro intreccio di interessi politici e criminali di quei tempi, secondo i figli e la moglie del giudice, ci sarebbe la chiave del giallo del giudice. E poi c’è sempre quella lettera che Adinolfi aveva lasciato alla moglie, da leggere solo dopo la sua morte. Un “testamento spirituale” di chi sa di essere entrato nel mirino di chi conta e sa bene che non sarà facile uscirne vivo.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa