Perugia, giro di fatture false e corruzione nella raccolta dei rifiuti: due arresti

Blitz dei finanzieri: ai domiciliari due ex amministrator di una Spa di Città di Castello e di una Srl del capoluogo umbro.

Perugia – Giro di fatture false e corruzione nella gestione dei rifiuti urbani. I finanzieri del Comando Provinciale hanno eseguito un’ordinanza di applicazione degli arresti domiciliari nei confronti dell’ex amministratore di una SPA con sede a Città di Castello, e dell’amministratore di una SRL con sede a Perugia, entrambe operanti in questo comparto. Il provvedimento è stato emesso dal gip del Tribunale.

L’indagine è partita da una denuncia anonima, la quale ha offerto dettagli sulle dinamiche corruttive che legavano società pubbliche e private tramite appalti nel settore dei rifiuti. Nonostante l’anonimato non fosse utilizzabile a fini processuali, ha costituito il punto di partenza per approfondite investigazioni condotte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Perugia.

Le indagini hanno rivelato che l’ex amministratore della società pubblica, incaricato di pubblico servizio, avrebbe percepito somme di denaro per oltre 750.000 euro a fronte di consulenze mai realmente svolte, configurando così ipotesi di corruzione e l’utilizzo di fatture false. In cambio di tali somme, l’amministratore avrebbe favorito l’assegnazione di appalti pubblici, tra cui il bando dell’ATI 1 per la gestione integrata dei rifiuti nei comuni dell’Alta Valle del Tevere, con un valore complessivo di oltre 350 milioni di euro per un periodo di 15 anni.

Ulteriori irregolarità sono emerse con riferimento alla violazione del principio di rotazione degli appalti, riguardante l’assegnazione di una commessa da 300mila euro a una ditta di Città di Castello per la fornitura di cestini per rifiuti. Anche in questo caso, l’amministratore avrebbe ottenuto 36mila euro per consulenze non eseguite e fatturate con documenti falsi. L’attività investigativa si è avvalsa di intercettazioni, perquisizioni e l’analisi della documentazione e dei dispositivi elettronici degli indagati.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa