Il 31enne reo confesso è in carcere sotto stretta sorveglianza. Il legale della famiglia della vittima: “È uscito di casa con 4 coltelli, non si parli di incapacità d’intendere e volere”. Sul luogo del delitto una scritta: “Giustizia è fatta”.
Bergamo – Si trova nel carcere di Bergamo, in cella da solo e sotto stretta vigilanza, seguito dagli psicologi del penitenziario. Dopo la confessione dell’omicidio, Moussa Sangare, il 31enne figlio di genitori del Mali fermato per l’omicidio di Sharon Verzeni, si è chiuso nel più stretto silenzio.
Trapelano però i primi, agghiaccianti particolari della maledetta notte dell’aggressione. E a rivelarli è stato proprio Sangare. Nell’interrogatorio in cui ha confessato il delitto, il 31enne ha riferito di essersi rivolto a Sharon prima di accoltellarla a morte. “Scusa per quello che ti sto per fare”, le avrebbe detto. E lei, mentre crollava trafitta dai fendenti, gli avrebbe chiesto: “Perché? Perché?”. Un interrogativo disperato, al quale forse non esiste risposta. Sangare ha poi detto di essere fuggito via in bicicletta e di averla modificata nei giorni successivi per evitare che potesse essere individuato grazie al mezzo. Allo stesso modo si sarebbe anche tagliato i capelli. Invano, perché è stato riconosciuto eccome.
Sulle capacità di intendere e volere di Sangare ha sollevato qualche dubbio il suo legale, l’avvocato Giacomo Maj, secondo cui alla base del comportamento delittuoso del giovane “è molto verosimile che ci sia un problema psichiatrico”. Maj ha visitato in carcere il suo assistito e ha detto di averlo trovato “frastornato” e molto provato. Non parla e non mangia, avrebbe pianto e preso solo dell’acqua.
Ma il legale della famiglia di Sharon, l’avvocato Luigi Scuderi, non ci sta: “Mi ha molto stupito che si sia parlato di ‘verosimile incapacità’ subito dopo il fermo, prima ancora di un esame completo di tutti gli atti di indagine e del pieno completamento degli accertamenti investigativi”, ha detto Scuderi in una nota. E rincara la dose, sostenendo la premeditazione: “Ho sentito parlare in queste ore di ‘raptus improvviso’, di ‘scatto d’ira’ e assenza di premeditazione. Tuttavia faccio notare che, stando alle informazioni rese pubbliche venerdì, il signor Moussa Sangare sarebbe uscito dalla propria casa di Suisio con ben quattro coltelli di significative dimensioni e prima di uccidere Sharon a Terno d’Isola ha avuto tutto il tempo di minacciare anche altre due persone. Queste farebbero bene a farsi avanti”.
Il riferimento è ai due ragazzini di 15 e 16 anni che, poco prima che Sharon fosse uccisa, si erano imbattuti anche loro in Moussa che li avrebbe minacciati, come lui stesso ha raccontato agli inquirenti. Ieri la procuratrice aggiunta di Bergamo, Maria Cristina Rota, ha lanciato un appello ai due giovanissimi perché si presentino in caserma e “forniscano un riscontro a quanto acquisito”. Con loro Moussa ha desistito, ma poi si è avventato su Sharon Verzeni, che si trovava nel posto sbagliato nel momento sbagliato, e l’ha uccisa.
Quasi immediata la controreplica del difensore di Sangare, secondo il quale la possibile incapacità mentale del 31enne “è un aspetto da approfondire e valutare eccome. Che sia già emerso, quindi, non mi stupisce per nulla, mi sembra normalissimo. Anche solo vedendo quanto emerso fino a ora, mi sembra il minimo accertare lo stato mentale e psichico di una persona che ha dato questa ricostruzione dei fatti”, ha affermato Maj. “È ancora presto per qualsiasi iniziativa ma il fatto che sia un aspetto da valutare non mi stupisce per nulla“, ha concluso.
Nonostante le modifiche alla bici e il taglio di capelli, Moussa Sangare è stato individuato lo stesso. A incastrarlo le telecamere di videosorveglianza, che hanno immortalato il giovane mentre transitava con la bici all’ora e vicino al luogo del delitto. Decisiva anche la testimonianza di due ragazzi italiani di origine marocchina, usciti quella sera per allenarsi: anche loro hanno incontrato Sangare, ma dopo che lui aveva già ucciso. “Lui ci è rimasto impresso, perché era un po’ strano – hanno raccontato agli inquirenti, come riporta Repubblica. Aveva una bandana in testa e un cappellino, uno zaino e gli occhiali. Ci ha fissato a lungo e poi ci ha fatto una smorfia. Non lo avevamo mai visto prima”.
Intanto sul luogo dell’omicidio, in via Castegnate, il compagno di Sharon, Sergio Ruocco, ha deposto un mazzo di fiori bianchi. “Nessuno mi ridarà Sharon – ha detto l’uomo alla stampa dopo il fermo di Moussa Sangare – ma mi sento anche sollevato. Ora finalmente cesseranno le illazioni”. Qualcun altro, tra il profluvio di fiori, pupazzetti e candele votive che in molti hanno collocato tra il muretto e la rete, ha affisso un cartello bianco con una sentenza lapidaria, “Giustizia è fatta”. Accanto, una lettera scritta a mano: poche righe che testimoniano lo choc vissuto dal paese della Bergamasca, al centro dei riflettori a causa dell’atroce e assurdo delitto. “Terno non è un posto sicuro sotto molti punti di vista – si legge – Ci sono persone che non pensano nemmeno una volta a ciò che fanno, spero la tua morte non sia stata vana. La tua famiglia è veramente forte, mancherà sempre qualcuno e quella persona sei te”.