Donna e rom, discriminazione al quadrato: vittime di un sistema culturale

Secondo il rapporto dell’ “Associazione 21 luglio ETS” uno su 13 vive in un campo nomadi. Problema sicurezza e ostacoli all’inclusione.

Roma – Donne rom: discriminazione al quadrato! Esistono condizioni in cui chi le subisce vive una doppia emarginazione: l’essere donna e appartenere ai rom. Si tratta di uno dei principali gruppi etnici della popolazione e relativa lingua “romani” e nella vulgata popolare sono definiti anche “gitani” o ”zingari”. Quest’ultima accezione viene intesa nella sua versione dispregiativa, soprattutto nei confronti di quelli che vivono (?) accampati dentro roulotte nelle periferie urbane, che sono conosciuti col termine “campi nomadi”, una sorta di “favelas” nell’opulento occidente. Donna e rom, come vivere ai margini della società, in una posizione periferica in cui si viene esclusi dai processi sociali fondamentali. Il concetto di “inclusione” è valido solo come artificio retorico da utilizzare ai convegni o alle tavole rotonde.

Sono decenni che si predica l’inclusione per i reietti della società ma il copione non cambia. Gli esclusi restano tali e i predicatori anche. Sono tanti gli episodi, di cui la cronaca è ricca, che testimoniano il maltrattamento subito dalle donne rom. Nello scorso mese di giugno al Policlinico Umberto I di Roma si presentò una ragazza rom al sesto mese di gravidanza con le manette strette ai polsi, arrestata in fragranza per scippo. Qualche mese prima, in aprile, un’altra ragazza rom all’ottavo mese di gravidanza era stata accompagnata, sempre allo stesso Policlinico, dai poliziotti per un ricovero d’urgenza. Era stata malmenata da alcuni maschi del suo campo che lei aveva denunciato. La notizia si era diffusa velocemente e i cronisti facevano a gara, in maniera spasmodica per avere informazioni ulteriori: se aveva partorito d’urgenza e se ci fosse un nesso tra le percosse e il parto cesareo. Domande legittime per un cronista, però, in alcuni casi esistono delle priorità, che nel caso in questione era la protezione della paziente, i particolari della cronaca potevano pure aspettare, prima la salute.

Un campo rom

C’è da segnalare che, con molta probabilità, l’accanimento con cui i cronisti si sono buttati sulla notizia, sia derivato dal clamore e dalla gravità del fatto: la violenza nei riguardi di una donna incinta. Inoltre, anche da una certa soddisfazione nell’aver collegato quel fatto increscioso ad un’etnia, che all’esclusione e alla criminalizzazione è abituata da secoli. Di rom si parla nel nostro Paese da decenni, ma negli ultimi tempi il dibattito si è fatto aspro e ruvido. Il tema principale della questione sono i “campi rom”. Secondo il rapporto a cura dell’ “Associazione 21 luglio ETS” (organizzazione non profit che supporta gruppi e individui in condizione di segregazione estrema e di discriminazione tutelandone i diritti e promuovendo il benessere delle bambine e dei bambini) un cittadino rom su 13 vive in un campo nomadi, definito “insediamento mono-etnico” in burocratese. La differenza è sostanziale (!): è più fine stare in un insediamento piuttosto che in un campo, vuoi mettere? Si tratta, comunque, di una minoranza. Infatti, sono ben 180 mila i rom residenti nel nostro Paese che vivono in abitazioni convenzionali.

I campi rom sono un problema, soprattutto, nelle grandi città, come Roma e Napoli. A Roma quando ci reca preso un insediamento, per fare visita a qualcuno, c’è bisogno di un’autorizzazione da mostrare alla polizia locale. Le ragazze rom quando devono sottoporsi a vista ginecologica vengono accompagnate dalle madri, che sono considerate dalle figlie come persone dotate di una certa autorevolezza. I pregiudizi, in qualsiasi campo dello scibile umano, sono tetragoni e duri da scalfire e questo vale anche per i rom. Le donne rom, almeno negli studi finora effettuati, sono state viste come vittime di un sistema culturale dovuto al patriarcato, scartando il fattore sociale che, al contrario è determinante. Si sono preferiti interventi di tipo penale, piuttosto che a rimuovere gli ostacoli per una vera inclusione. E questo vale anche per altri esclusi della società, migranti, poveri, sbandati, senza fissa dimora e simili. Quando verrà il loro momento? Conoscendo i tempi della politica italiana, si dovrà aspettare le… “calende greche”, cioè mai!

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