Forlì: maxi truffa delle “biomasse”, nei guai i vertici di una centrale elettrica [VIDEO]

Operazione ”Bosco Perduto” della Gdf: 7 indagati per frode nel conseguimento di erogazioni pubbliche e 7,7 milioni di euro sequestrati.

Forlì – Maxi truffa tra Faenza e Forlì nel settore delle energie rinnovabili. I Finanzieri del Comando Provinciale di Forlì, all’esito di specifiche indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Ravenna nel settore della tutela della spesa pubblica, hanno dato esecuzione a un’ordinanza applicativa di misure cautelari interdittive nei confronti di sette persone, alle quali è stato imposto il divieto di esercitare attività professionali, imprenditoriali o incarichi direttivi in imprese e persone giuridiche nel settore delle energie rinnovabili, nella relativa filiera a monte e in qualsiasi settore che preveda la possibilità di ottenere incentivi statali.

La misura cautelare, disposta dal giudice per le indagini preliminari di Ravenna su richiesta della stessa Procura, è stata emessa nei confronti del presidente e di due altri manager di un’importante centrale di produzione di energia elettrica di Faenza alimentata a biomasse e nei riguardi di altre quattro persone, responsabili di due società romagnole fornitrici delle relative biomasse legnose. I soggetti sono indagati a vario titolo, tra gli altri, dei reati di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Le indagini delle Fiamme Gialle del Gruppo di Forlì – dirette dall’autorità giudiziaria ravennate e partite dal 2022 – hanno fatto luce su un presunto sistema di frode architettato per ottenere, illecitamente, cospicue contribuzioni pubbliche di origine nazionale erogate dal Gestore dei Servizi Energetici al fine di promuovere, tramite sostegni economici, la diffusione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili; ciò attraverso un giro di fatture false di oltre quattro milioni di euro.

Per questo, nel corso della stessa operazione denominata “Bosco Perduto”, i militari della Guardia di Finanza di Forlì hanno anche eseguito un decreto di sequestro preventivo – assunto in via d’urgenza dalla Procura della Repubblica e successivamente convalidato dal Gip del Tribunale di Ravenna – nei riguardi della centrale di produzione di energia rinnovabile faentina e del suo legale rappresentante, in relazione all’illecito profitto di oltre 7,7 milioni di euro complessivamente ottenuto, pari ai contributi pubblici indebitamente percepiti e alle imposte evase. I finanzieri – anche sulla base di precedenti, diverse investigazioni dei Carabinieri Forestali delle Regioni Emilia Romagna e Toscana – hanno smascherato l’utilizzo di biomasse legnose da parte del suddetto operatore energetico faentino, conferite e certificate falsamente come incentivabili da altre due società con sede a Faenza e Forlì.

Le investigazioni – svolte anche mediante apposite intercettazioni telefoniche ed ambientali (utilizzo dei c.d. trojan) – hanno in realtà disvelato una prassi illegale, posta in essere in maniera sistematica dalle predette società, basata sulla illecita commistione di biomasse “tracciate”, regolarmente provenienti da zone all’interno di un raggio di 70 km dalla centrale e, pertanto, in possesso dei requisiti normativi per ottenere il massimo incentivo statale, con biomasse “non tracciate”, risultate essere scarti di segagione, potature e ramaglie, provenienti da segherie e impianti di stoccaggio di materiale legnoso, invece non incentivabili e distanti oltre il limite disposto dalla legge.

Nel corso delle indagini, le Fiamme Gialle forlivesi, che si sono avvalse anche delle puntuali perizie tecniche eseguite dai Carabinieri Forestali del Gruppo di Forlì-Cesena sui fondi agricoli interessati, hanno appurato che, nel periodo preso in considerazione, su oltre 130 mila tonnellate di biomassa oggetto di richiesta di incentivo, soltanto 30 mila avevano i requisiti di tracciabilità da filiera corta. E hanno scoperto che l’artificiosa “trasformazione” del materiale legnoso privo dei requisiti di tracciabilità in biomassa incentivabile, avveniva anche attraverso l’espediente del “doppio” documento di trasporto. In pratica, ogni documento “vero”, cioè attestante il trasporto di biomassa “non incentivabile” era accompagnato e poi sostituito da un altro “falso”, per nascondere la reale provenienza del materiale. Tuttavia non è sfuggito agli occhi attenti degli investigatori che mentre le date, i mezzi e gli autisti indicati nei due documenti di accompagnamento corrispondevano, gli itinerari, invece, certificavano una diversa posizione di partenza e un diverso mittente.

I vantaggi economici ottenuti sono stati notevoli per tutti. Da un lato, la centrale di produzione energetica è riuscita ad incamerare circa 7 milioni di euro in più rispetto a quanto le sarebbe spettato; dall’altro, le aziende fornitrici di massa legnosa, conferendo materiale da scarto proveniente da siti distanti oltre 70 Km dalla centrale, hanno ottenuto un prezzo superiore, in quanto la stessa è stata fatturata al pari di quella qualitativamente migliore ed incentivabile. I militari hanno scoperto, infatti, che, in molte circostanze, la biomassa ceduta era riferita perlopiù a materiale derivante dalla pulizia di frutteti e terreni non aventi i requisiti di tracciabilità, peraltro venendo ritirato a titolo gratuito o, addirittura, dietro pagamento dei relativi proprietari.

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