L’ombra della banda della Magliana e dei servizi segreti sulla misteriosa fine del giudice della Sezione fallimentare del tribunale di Roma.
Roma – La scomparsa del magistrato romano Paolo Adinolfi rimane uno dei misteri d’Italia, un cold case sul quale si sono aperte e chiuse senza un nulla di fatto ben due inchieste, l’ultima delle quali ha potuto soltanto smentire le conclusioni della prima, datate 1996, nelle quali si sposava l’ipotesi dell’allontanamento volontario del giudice, per approdare invece alla “quasi certa azione delittuosa”, senza per altro poterne indicare contesto ed eventuali responsabilità.
Quando scompare all’età di 52 anni, siamo nel luglio del 1994, Adinolfi è passato da una ventina di giorni alla Corte d’Appello, ma gli inquirenti sono convinti che sia nel suo incarico precedente – a lungo magistrato alla Sezione Fallimentare del tribunale di Roma – l’ambito dove possano affastellarsi ombre e segreti. Dal suo punto privilegiato d’osservazione Adinolfi negli anni ha visto compiersi il destino di aziende importanti, punto d’incontro degli interessi, anche inconfessabili, di molti. Trattandosi della Capitale, ipotesi e testimonianze giungono a conclusioni poco rassicuranti che includono anche la banda della Magliana e i servizi segreti, con i quali i boss della malavita capitolina avevano stretto un sodalizio indicibile.
Anche la ricostruzione delle ultime ore di Adinolfi prima della scomparsa aprono alcuni interrogativi rimasti inevasi. La mattina di sabato 2 luglio 1994 il magistrato esce dal suo appartamento di via della Farnesina non prima di aver dato appuntamento alla moglie, l’adorata Nicoletta, per pranzo. La donna e i figli, Giovanna e Lorenzo, non avranno più sue notizie e da 30 anni cercano invano un brandello di verità sulla fine del loro caro, avendo sempre respinto l’ipotesi di un allontanamento volontario.
Alla guida della sua BMW 316 Adinolfi prima raggiunge il Tribunale civile di viale Giulio Cesare e la banca interna dove completa il trasferimento di un conto corrente. A confermarlo è un conoscente, l’avvocato Paolo Loria, che lo nota in fila allo sportello. In seguito paga in Posta alcune bollette per conto dell’anziana madre e si dirige alla biblioteca del Tribunale civile per prendere una vecchia sentenza. Secondo il bibliotecario, Marcello Mosca, è in compagnia di un uomo sui 30 anni che non verrà mai identificato. Poco prima delle 11 è in piazzale Clodio, dove si trovano gli uffici della Corte d’Appello. In cancelleria ritira altre due sentenze, imbattendosi all’ingresso nel giudice Paolo Celotti, che nota nel collega uno strano turbamento. Poco dopo in auto raggiunge il Villaggio Olimpico, dove parcheggia in via Svezia – la macchina non verrà più spostata – entra nell’ufficio postale di zona e fa un operazione priva di senso: invia un vaglia postale di 500mila lire alla moglie.
Da qui in avanti sulla sorte la sorte del giudice Paolo Adinolfi calano le tenebre. Nel pomeriggio la moglie ne denuncia la scomparsa, notizia che viene diffusa soltanto il giorno dopo. Ma lo stesso giorno un avvocato chiama il 113 per segnalare la presenza del magistrato scomparso sul bus numero quattro poco dopo mezzogiorno. Lo stesso testimone in seguito si rifiuta di commentare ulteriormente sia con la stampa che con la famiglia di Adinolfi. Il 3 luglio le chiavi di casa e dell’auto del magistrato vengono ritrovate nella buca delle lettere del condomino dell’anziana mamma Giovanna, in via Slapater, dove però nessuno ricorda di aver visto il giudice il giorno prima. La circostanza è ritenuta dai magistrati un tentativo di depistaggio.
Il movente della scomparsa non può che annidarsi nei fascicoli scottanti che Adinolfi ha avuto in mano alla Sezione fallimentare, lavori delicati per i quali aveva confessato alla moglie di avere seri problemi e ad un amico di sentirsi seguito e spiato. Nel 1992 si era occupato del crac della Fiscom, società attorno alla quale ruotavano figure dei servizi segreti e della malavita organizzata. Nell’ambito della vicenda venne condannato in primo grado Enrico Nicoletti, il “cassiere” della della Magliana e per anni a Roma girò voce che Adinolfi fosse sepolto sotto la villa che un tempo fu di Nicoletti.
Un’altra questione delicata passata sotto gli occhi del giudice è quella del crac della Ambra assicurazioni per cui pochi giorni prima di sparire Adinolfi aveva contattato al telefono il pm di Milano, Carlo Nocerino, titolare dell’inchiesta per bancarotta, offrendosi di offrire il suo contributo “come privato cittadino”. Ma a Milano Adinolfi non arriverà mai.