Le indagini proseguiranno per accertare l'esatto evolversi dei fatti. I genitori si appellano a chiunque possa dare informazioni sulle condizioni di salute di Matteo che nel giro di una settimana, come pare, lo avrebbero portato a morte.
Longiano – Forse si sarebbe potuto salvare Matteo Iozzi, il giovane genovese di 20 anni appassionato di football americano, deceduto 13 luglio del 2016 nella comunità Papa Giovanni XXIII di Longiano, in provincia di Forlì-Cesena. Il giovane, che abitava con la famiglia ad Arquata Scrivia, in provincia di Alessandria, si trovava presso la struttura protetta per un percorso nutrizionale e psicologico che gli avrebbe permesso di dimagrire e di riacquistare la propria autostima.
Matteo amava molto gli animali, specie i cavalli, e partecipava anche a rievocazioni storiche in costume con la Compagnia Balestrieri del Mandraccio di Genova ma il suo sovrappeso di circa 140 chili non gli permetteva di vivere un’esistenza come gli altri suoi coetanei. Per questo aveva preso la decisione di ritirarsi presso la struttura romagnola dove per altro c’erano altri giovani con i quali Matteo aveva fatto amicizia.
Lo studente del Centro di Formazione professionale di Serravalle Scrivia aveva trascorso un paio d’anni a Rio Branco, in Brasile, assieme ai suoi genitori Giusi Campioni di 61 anni e Giovanni Iozzi di 67, entrambi missionari laici con i quali assisteva ragazzi in difficoltà o nel recupero di soggetti tossicodipendenti. Dunque un ragazzo con qualche problema ma certamente non malato di cuore, come qualcuno avrebbe voluto far credere. Sulle prime, infatti, i genitori avevano avuto notizia che Matteo fosse morto per un infarto ma pare che le cose siano andate diversamente:
”…Mio figlio non stava male di cuore – racconta Giusi Campioni – abbiamo saputo che era morto di infarto dal personale della comunità. Prima di morire Matteo era stato male per circa una settimana accusando astenia, nausea, vomito e diarrea ma nulla che facesse presagire a qualcosa di più grave. Abbiamo ricevuto una telefonata nella quale ci annunciavano che mio figlio era deceduto alle 10.27 circa del 13 luglio 2016 nella sua stanza, nonostante il tentativo di rianimazione dei soccorritori del 118 chiamati sul luogo dai carabinieri…
…Il giorno dopo, il 14 luglio, siamo andati all’ospedale di Forli dove era stata trasferita la salma di Matteo posta sotto sequestro. Soltanto nel Novembre 2016 abbiamo potuto conoscere esattamente le cause del decesso che nulla avevano a che fare con l’infarto. Vogliamo solo la verità. Vogliamo sapere come è morto mio figlio e se è stato fatto tutto il possibile per salvarlo. Chi sa qualcosa si presenti e riferisca tutto ciò che sa. Se davvero Matteo aveva molti amici in comunità dimostrino adesso di esserlo ancora…”.
Nel referto autoptico si parlerebbe di morte per arresto cardiocircolatorio terminale su base elettrica in soggetto gravemente obeso. Non si argomenta dunque né di cause naturali, come sarebbe stato riferito da un medico nell’immediatezza dei fatti, men che meno da sindrome infartuale. Il clima estivo torrido e la disidratazione in un paziente che aveva vomitato più volte avrebbero provocato, complice la pinguedine, uno squilibrio elettrolitico che ne avrebbe causato il decesso.
Ma i genitori intendono sapere se Matteo si sarebbe potuto salvare o meno perché più di qualche sospetto farebbe pensare in questo senso. Tant’è che la Procura di Forlì ha riaperto le indagini per vederci chiaro. Dunque sino al maggio 2021 ci sarà tutto il tempo per accertare se in quella settimana di malessere, ad esempio, sarebbe stato meglio trasferire Matteo Iozzi in ospedale, attesi anche i suoi problemi psicologici per cui era sotto terapia specialistica:
”…Al momento sono in corso le indagini – aggiunge l’avvocato Maria Giuditta Mazzoli del Foro di Forli – e con il segreto istruttorio c’è poco da dire. Abbiamo ascoltato tutte le persone che si sono presentate spontaneamente per raccontare, dal loro punto di vista, ciò che sarebbe accaduto a Matteo…”.
I genitori non sanno darsi pace ed è comprensibile: ”…Matteo era un bravo ragazzo, abituato a vivere nelle comunità – conclude mamma Giusi – voleva essere una risorsa e non un peso per la sua famiglia, voleva essere preparato per potersi dedicare a coloro che avevano necessità di aiuto. Che cosa gli è accaduto?…”.
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