L’agricoltore si è sempre dichiarato innocente. La vittima frequentava altri uomini e fra questi potrebbe nascondersi il vero assassino. Alcune testimonianze e particolari investigativi a favore di Giovanni Camassa non sarebbero stati considerati in corte d’Appello e Cassazione. L’uomo era stato assolto in primo grado.
MELENDUGNO – Non sarebbe stato il contadino di Melendugno a violentare e uccidere Angela Petrachi, 31 anni, madre di due figli, ritrovata cadavere in un bosco l’8 novembre del 2002. La Cassazione, però, rigetta la revisione del processo cosi per Giovanni Camassa, 51 anni, condannato definitamente all’ergastolo per omicidio e violenza sessuale le cose si mettono male. L’uomo era stato assolto in primo grado ma condannato all’ergastolo in seconda istanza poi confermata dagli Ermellini del Palazzaccio romano. L’agricoltore si è sempre professato innocente e i fatti, al di là di ogni ragionevole dubbio, sembravano dargli ragione. Alle 14.30 di quel maledetto sabato 26 ottobre 2002, Angela Petrachi dopo aver pranzato con i figli di 4 e 7 anni in casa dei genitori a Melendugno, era uscita dicendo che sarebbe andata per un’ora a casa sua per prendere alcuni effetti personali e poi sarebbe tornata in tempo per accompagnare il figlio maggiore al catechismo. Non vedendola tornare in tarda serata i genitori ne denunciavano la scomparsa.
Il successivo 31 ottobre i carabinieri avvisavano la famiglia dell’avvenuto ritrovamento dell’auto di Angela, parcheggiata nello spiazzo adiacente il campo sportivo del paese, con la ruota posteriore destra sgonfia per un chiodo conficcato nel copertone. All’interno della vettura c’erano i documenti dell’auto e il giubbino della donna. Alcuni testimoni riferivano di aver visto l’auto posteggiata in quel punto sin dal 26 ottobre, ovvero dal giorno della strana sparizione. I documenti d’identità della donna, invece, venivano rinvenuti da un passante un paio di giorni più tardi, sulla strada provinciale che da Melendugno porta a Borgagne.
In particolare la carta d’identità era stracciata mentre la borsa vuota di Angela veniva rinvenuta un centinaio di metri più avanti, tra asfalto e bordo corsia. I carabinieri passavano al setaccio l’intera zona senza trovare alcuna traccia della donna che sembrava essersi volatilizzata e che pare non avesse motivo di sparire dalla circolazione per propria volontà. Dal suo cellulare, non rinvenuto, erano stati inviati ben 14 messaggi tra le 17 e le 23 di quel sabato sera quando Angela si era defilata da casa. Gli sms non contenevano frasi ma solo simboli grafici indirizzati tutti allo stesso numero che corrispondeva a quello di un suo ex compagno il quale, sentito dagli inquirenti, dichiarava di non aver più visto né sentito la donna dopo la conclusione della loro relazione sentimentale. Poi l’epilogo: Angela veniva ritrovata cadavere, l’8 novembre, da un cercatore di funghi in un boschetto poco lontano dalla provinciale.
A mezzo chilometro circa da dove erano stati rinvenuti borsa e documenti. La povera donna indossava ancora i vestiti che aveva quando era uscita dalla casa dei genitori. La ferocia con cui l’assassino o gli assassini avevano infierito sul suo corpo faceva pensare ad un delitto premeditato. Fra le frequentazioni di Angela c’era anche Giovanni Camassa a cui la vittima si era rivolta per farsi dare un cagnolino per i propri figli. L’autopsia aveva rivelato che la donna era stata violentata, strangolata con i suoi slip e seviziata con la lama di un coltello.
Secondo l’accusa Camassa avrebbe incontrato davvero la vittima per venderle un cane ma poi preso da un raptus l’uomo l’avrebbe aggredita per violentarla e ucciderla. L’agricoltore veniva arrestato e dopo 3 anni e 8 mesi di processo si vedeva assolto in primo grado ma poi condannato all’ergastolo in Appello e Cassazione. La Suprema Corte, infatti, respingeva anche il ricorso presentato dall’avvocato Ladislao Massari con il quale, sulla scorta di nuovi elementi emersi dalle indagini difensive, chiedeva l’annullamento del rigetto dell’istanza di revisione del processo decisa dalla Corte d’Appello di Potenza. Sulla scena del crimine, infatti, sono stati rilevati frammenti di un Dna che non appartiene a Camassa della cui innocenza sono convinti familiari e numerosissimi amici:
”… Non ho ucciso Angela – grida da anni il contadino di Melendugno – la vittima frequentava altre persone. A me ha chiesto solo un cucciolo per i suoi figli, poi è andata via e non l’ho più vista…”.