Nonostante denunce e condanne l’uomo potrebbe tornare in casa della ex convivente maltrattata per decisione del giudice. La donna sta vivendo momenti di terrore ma nessuno sembra accorgersene. Decine i femminicidi “annunciati” in Italia che si consumano per cavilli legali e leggi claudicanti.
Rignano Flaminio – Condividere la casa con il carnefice. Si, se a deciderlo è un giudice. Tra qualche giorno Paolo Moscara potrà far valere il diritto, concessogli da una sentenza emessa il 25 marzo 2020 dal giudice Anna Multari, di essere riammesso nell’immobile acquistato nel 2007 in comproprietà al 50% con l’allora convivente Simona Leto. Paradossale il fatto che Moscara abbia saputo della sentenza in questione dall’inviata della trasmissione “Chi l’ha visto?” giunta sul posto per raccontare una vicenda che ha dell’assurdo. Il magistrato, in buona sostanza, ha ridato le “chiavi di casa” ad una persona condannata due volte per atti persecutori e lesioni. La sua vittima, manco a dirlo, è proprio Simona Leto, terrorizzata al solo pensiero di doversi ritrovare a convivere con quell’ex uomo violento e determinato a distruggerle la vita.
La vicenda ha inizio nel 2007 quando Paolo e Simona, allora una coppia felice, decidono di acquistare una villetta su tre piani in comproprietà, grazie ad un mutuo cointestato per il totale importo. Dopo poco tempo Paolo sistema la taverna-garage per ospitare “momentaneamente” la madre che invece andrà via solo dopo le prime sentenze del Tribunale. Nel 2012 Simona, credendo alle parole del convivente, fa quello che si rivelerà essere il suo errore più grande: rileva il 50 percento della nuda proprietà di Paolo, lasciando a quest’ultimo il diritto di abitazione.
“…Mi aveva raccontato – racconta Simona – di avere debiti con Equitalia così, per non rischiare di perdere la casa, mi sono fatta convincere ad acquisire un quarto della sua quota di mutuo…”.
Per Simona Leto è l’inizio dell’incubo. Paolo Moscara non paga più la sua parte di mutuo e in casa iniziano i primi litigi.
“…Da quel momento – aggiunge Simona – ho conosciuto una persona completamente diversa da quella di cui mi ero innamorata: lui e la madre hanno iniziato a vivere sulle mie spalle ed io, lavorando in una società di recupero crediti, non potevo permettermi di non pagare, le insolvenze avrebbero compromesso il mio posto di lavoro…”.
Nel 2013 i due si lasciano ma continuano a vivere da separati nella stessa casa, anche se in piani separati…”. A quanto riportato nelle sentenze del Tribunale di Tivoli, Paolo sarebbe diventato sempre più violento e scatenerebbe questa sua indole irascibile contro la donna. “…Dal 2014 in poi – continua Simona – si registra una escalation interminabile di episodi di violenza che, solo a ripensarci, mi vengono i brividi…”. Nel giugno del 2014 Paolo colpisce Simona con una bottiglia di vino procurandole gravi ferite curate dai medici del pronto soccorso con una prognosi di 15 giorni. È un continuo di denunce e richieste di interventi ai Carabinieri. Simona è terrorizzata e cerca di rimanere in casa il meno possibile. Quando può raggiunge in Abruzzo un uomo che poi diventerà suo marito oppure dorme da amici pur di non rimanere sola con quell’energumeno. Paolo, che non esita a minacciare l’ex convivente nemmeno in presenza dei Carabinieri, il 10 marzo del 2015 viene raggiunto da una misura cautelare che gli impone l’immediato allontanamento dall’immobile dove vive l’ex convivente, misura aggravata il 10 aprile del 2015 con il divieto di dimora nel Comune di Rignano Flaminio, poi revocata il 14 giugno del 2016.
Nel frattempo Paolo Moscara, oltre a non ottemperare alle diffide inviate da Simona per il pagamento delle rate pregresse del mutuo, continua con gli appostamenti e le minacce rivolte e lei e a quello che, nel frattempo, è diventato il marito della povera donna. Nella prima ordinanza del marzo 2015 si definisce “allarmante” il fatto che l’uomo, recandosi nella locale stazione dei carabinieri per rivendicare il diritto di abitazione, chiedeva ai militari come poter ottenere il porto d’armi per detenere una pistola in casa.
Il 13 giugno del 2017, Paolo Moscara viene condannato ad 1 anno, pena sospesa e ridotta per la scelta dell’imputato del rito abbreviato, per il reato di stalking. A questa sentenza si arriva con decreto di giudizio immediato richiesto dal sostituto procuratore Gabriele Iuzzolino. La seconda condanna arriva nel novembre del 2019 ed è relativa ai fatti che hanno portato alla prima misura cautelare: Moscara viene condannato ad 1 anno e 6 mesi, pena sospesa, per stalking e lesioni, oltre al pagamento di una provvisionale in favore di Simona Leto, costituitasi parte civile, e al saldo delle spese processuali.
Mentre la sezione penale del Tribunale ha condannato per ben 2 volte Moscara, la sezione civile, portando a sentenza l’istanza dell’uomo che aveva anche chiesto l’allontanamento dell’ex convivente dalla casa, ottiene di poter rientrare nell’abitazione. Simona, in questi anni, ha scritto a tutti: sindaco, procuratore, associazioni contro la violenza sulle donne e perfino al ministro Bonafede. È stata anche ascoltata in Senato ma ad oggi non è cambiato nulla. Nel 2015 ha scoperto di essere incinta, lei e il marito erano al settimo cielo per la felicità, ma poi la gioia si è trasformata in dolore perché Simona ha subito un aborto spontaneo, un evento drammatico che l’ha segnata profondamente.
“…Era il mio sogno che si avverava, il desiderio di ogni donna – afferma la donna – ma quella situazione vissuta nel terrore mi ha portato via il bambino, l’aborto è stato causato dallo stress provocato dalla situazione che stavo vivendo…”. Simona si sente abbandonata, principalmente dalle istituzioni: “…Mi sento delusa da uno Stato assente – evidenzia Leto – da una magistratura che sembra essere sorda e cieca, da un sistema che non difende le donne. La prossima vittima di femminicidio, ho scritto al procuratore di Tivoli, potrei essere io e non voglio rassegnarmi…”. Paolo non si fa sentire né vedere da qualche anno ma Simona Leto è convinta che la sua ferma ostinazione di voler rientrare a casa sia il pretesto per fare qualcosa di irreparabile.
“Da 7 anni non vivo più – conclude l’ennesima vittima di un aguzzino – mi guardo sempre le spalle, penso a cosa fare quando me lo troverò davanti. Questa non è vita. In questi anni le ho provate tutte: gli ho proposto di vendermi la casa, di fargliela acquistare oppure di venderla e dividerci i soldi. Nulla, lui vuole vedermi distrutta. Sono vicina alla resa, da un anno non pago più il mutuo, perderò anni di sacrifici fatti con il sudore del mio lavoro ma forse guadagnerò la libertà…”.
Sulla vicenda abbiamo sentito anche Fabio Nicolanti che, insieme a Giovanni Tomaino e Roberto Diddoro, fa parte del collegio difensivo di Simona Leto:
“…La mia assistita sta pagando i tempi lunghi della giustizia – afferma l’avvocato Nicolanti – purtroppo siamo ancora lontani dalla condanna definitiva del suo ex convivente dopo anni dalla prima sentenza del tribunale capitolino. Inoltre devo aggiungere che mi sarei aspettato, nei confronti del Moscara, un approccio diverso da parte delle forze dell’ordine. Infatti quell’uomo non solo ha più volte minacciato di morte la Leto in presenza dei carabinieri ma, sempre al cospetto dei militari, avrebbe pesantemente diffamato l’Arma ed i giudici ma non è stato mai arrestato. Ci troviamo di fronte ad una situazione che può riesplodere da un momento all’altro e ci opporremo al reintegro del Moscara all’interno dell’abitazione (che riguarda la sezione civile), sottolineando l’esposizione al pericolo a cui, tale eventualità, esporrebbe la mia assistita…”.