Treviso – Operazione anti-frode sui prodotti ortofrutticoli: 30 denunce [VIDEO]

L’indagine ha portato anche a sanzioni amministrative della Gdf nei confronti degli imprenditori coinvolti di 2,5 milioni di euro.

Treviso – Ben 30 imprenditori coinvolti in una frode sul carico e scarico di prodotti ortofrutticoli. Con sanzioni amministrative per un valore complessivo di 2,5 milioni di euro, in relazione a illeciti riguardanti la violazione della normativa sul lavoro. Maxi operazione delle Fiamme Gialle nell’ambito del contrasto alle frodi fiscali e all’interposizione illegale di manodopera, a conclusione di una indagine sul Mercato Agro-Alimentare di Padova (M.A.A.P.). Indagine che ha portato alla scoperta di falsi contratti d’appalto di servizi, per 18 milioni di euro, utilizzati per mascherare illecite esternalizzazioni di maestranze, dedite al carico e allo scarico di prodotti ortofrutticoli.

Sono stati perciò denunciati 30 imprenditori per somministrazione fraudolenta di manodopera (due di essi anche per emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti), mentre due società sono state segnalate per responsabilità amministrativa dipendente da reato, in quanto le violazioni tributarie sono state commesse nel loro interesse e vantaggio da parte degli amministratori. Sul piano amministrativo, sono state irrogate sanzioni per 2,5 milioni di euro. Le imprese coinvolte nella frode sono 29, tra le quali 2 società trevigiane, attive nel settore della logistica (con alle dipendenze circa 150 lavoratori e un fatturato medio annuo complessivo di 6 milioni di euro) e 27 aziende committenti, dislocate tra le province di Padova, Rovigo, Treviso e Venezia, di cui 23 attive presso il Mercato di Padova.

I ricavi conseguiti erano ripartiti mediante l’emissione di fatture per operazioni inesistenti tra le 2 appaltatrici, per 8,5 milioni di euro, da cui è scaturita un’indebita detrazione Iva per 1,4 milioni di euro. In relazione a quest’ultimo importo, il Gip ha disposto il sequestro preventivo di immobili, disponibilità finanziarie, autovetture e partecipazioni societarie. Le indagini sono state avviate a seguito di due distinte verifiche fiscali nei confronti delle società appaltatrici, legate da un contratto di Associazione Temporanea d’Imprese (A.T.I.), le quali, nel meccanismo fraudolento portato alla luce, avevano il compito di fornire i lavoratori. Una delle due, in particolare, era stata costituita al solo scopo di assumere, con contratti a tempo determinato, il personale dipendente giunto al limite massimo di rinnovi contrattuali legalmente previsto, aggirando così la normativa a tutela dei lavoratori.

Quello portato alla luce è un fenomeno dove i rapporti tra committenti e società appaltatrici sono strutturati al solo scopo di “interporsi” tra i lavoratori e le aziende alle cui dipendenze prestano effettivamente la propria attività lavorativa. In altri termini, il ricorso di personale esterno alle imprese committenti ha consentito alle stesse di disporre “a piacimento” di manodopera, senza i vincoli e i costi fissi di un contratto a tempo indeterminato. Ricostruendo la “filiera della manodopera”, grazie a documenti e testimonianze dei diversi lavoratori, è stato ricostruito come i rapporti di lavoro con i vari committenti fossero privi degli elementi che caratterizzano la liceità dell’appalto, e cioè il rischio d’impresa e l’organizzazione autonoma di mezzi e risorse.

Da una serie di fogli di calcolo e da messaggi di posta elettronica tra la società appaltatrice e le committenti, è emersa l’assenza del rischio: il corrispettivo dei contratti veniva commisurato esclusivamente al costo orario dei lavoratori forniti dalle imprese trevigiane, senza alcun legame a obiettivi di risultato. Mancava poi una organizzazione delle risorse in capo alle imprese appaltatrici, sia di beni strumentali necessari all’esecuzione dei servizi oggetto dei contratti, i cui costi di noleggio e manutenzione venivano riaddebitati puntualmente alle appaltanti, sia con riferimento all’esercizio del potere direttivo sulle maestranze somministrate, di fatto etero-dirette, cioè soggette alla gestione e controllo da parte dei committenti, rimanendo alle società somministratrici solo compiti di natura amministrativa.

I lavoratori, nel corso delle prestazioni, eseguivano gli ordini impartiti dagli stessi clienti finali delle società sottoposte a verifica, i quali decidevano il numero dei dipendenti quotidianamente necessari, le mansioni da svolgere, gli orari e le modalità esecutive; emblematica la circostanza che, in alcuni casi, i committenti abbiano personalmente proceduto ai colloqui nei confronti degli operai che le imprese appaltatrici dovevano assumere, imponendo loro anche specifiche clausole contrattuali ed erogando premi produzione ad personam. Da qui, l’inesistenza giuridica delle fatture emesse dalle società trevigiane sia tra loro (per 8,5 milioni di euro) sia nei confronti delle committenti (per 18 milioni di euro), per un totale di 26,5 milioni di euro.

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