Orrori giudiziari: arrestato per droga, imprenditore innocente perde l’attività

Erminio Diodato rovinato dall’ennesimo caso di malagiustizia. “Ho perso tutto ciò per cui ho lavorato un vita”. E lo Stato lo risarcisce con 60mila euro.

Varese – Erminio Diodato può consolarsi soltanto pensando a Beniamino Zuncheddu, l’ex pastore sardo che si è fatto oltre trent’anni di carcere da perfetto innocente. Non certo per il magro risarcimento che gli ha riconosciuto lo Stato per l’ingiusta detenzione, 60mila euro, quando il suo avvocato difensore, Daniele Galati, aveva chiesto mezzo milione di euro, visto che a seguito dell’ennesimo caso di malagiustizia il suo assistito ha perso un’attività da 240mila euro l’anno.

Il calvario di Diodato, imprenditore di Vergiate, nel Varesotto, comincia nel luglio del 2020. Una telefonata anonima permette alla polizia di recuperare oltre due chili di cocaina e una pressa che, secondo gli inquirenti, sarebbe servita per confezionare i panetti di stupefacente, in un deposito della società di Diodato.

L’imprenditore insieme al suo legale, l’avvocato Daniele Galati

Per lui scattano le manette. “Quella mattina quando sono stato chiamato non ho nemmeno voluto contattare l’avvocato: sapevo di non aver fatto nulla di male. – racconta l’imprenditore -. E’ stato tutto doloroso e surreale, come se parlassero di un’altra persona“.

Invece è tutto vero: Diodato finisce in carcere, nonostante un albanese di 43 anni, arrestato per lo stesso motivo, lo scagiona e spiega agli inquirenti di essere l’unico responsabile per quel carico di stupefacente. Ma i magistrati non gli credono, l’imprenditore rimane agli arresti (cinque mesi in carcere e due ai domiciliari) e viene rinviato a giudizio per detenzione di droga ai fini di spaccio.

“Già dopo i primi 10 giorni dall’arresto c’erano elementi tali da far cadere la custodia cautelare in carcere – spiega il legale – anche le impronte dattiloscopiche trovate sui panetti di stupefacente hanno rivelato che Diodato non li aveva mai toccati: c’erano solo le impronte dell’altro arrestato”. Invece la macchina della malagiustizia prosegue fino al processo, dove il castello di carte dell’accusa si sbriciola: assolto con formula piena. Diodato non sapeva nulla dello stupefacente. Ma è troppo tardi: “Ho perso tutto ciò per cui ho lavorato un vita” commenta amaro l’imprenditore.

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