LAVORATORI O MULTINAZIONALI? OCCHIO ALLA COSTITUZIONE

Lo Stato deve assumersi la responsabilità di attuare misure anche più drastiche rispetto a quelle fino ad ora decretate. Il Bel Paese dovrebbe utilizzare questo momento di decremento economico per sviluppare un nuovo indirizzo politico e finanziario

“…Confindustria esprime preoccupazione per la richiesta della Regione Lombardia di esasperare le misure di contenimento del contagio fino a prevedere il fermo totale delle fabbriche e dei trasporti. Il giusto e necessario proposito di fronteggiare l’emergenza sanitaria non può e non deve aggravare l’emergenza economica che sta già piegando l’intero sistema produttivo del Paese…”

Queste le parole di Confindustria divulgate il 10 marzo scorso in una nota stampa in merito alla nota emergenza sanitaria. Siamo nel mezzo di una crisi umanitaria senza precedenti e ci siamo arrivati con uno stato sociale dilaniato, svenduto al miglior offerente. E con una classe politica che difficilmente entrerà nei libri di storia.

Dopo le ultime parole del premier Giuseppe Conte sembrerebbe che Confindustria abbia ottenuto un ulteriore riconoscimento vincendo la battaglia sul fronte lavorativo. Infatti, almeno per il momento, le fabbriche non chiudono, dovranno rispettare le dovute misure di prevenzione ma potranno continuare la produzione, seppur a ciclo ridotto. Questa decisione, logicamente, va intesa come salvaguardia di un livello minimo produttivo che permetta di ammortizzare i costi della crisi. Ma a pagarne le spese potrebbero essere ancora una volta i lavoratori. Uomini e donne esposti alla virulenza di un nemico che ci viene descritto come estremamente contagioso. Uomini e donne costretti a spostamenti per raggiungere il posto di lavoro dunque gli operai si potrebbero trasformare in potenziali “untori” asintomatici. Questo rischio, eticamente discutibile, mette a repentaglio l’operazione d’isolamento forzato messa in atto dal governo inficiandone gli effetti.

Conte ha parlato di misure eccezionali e l’ha fatto con una certa commozione. Il primo ministro, però, non si è assunto la responsabilità di schierarsi contro i poteri finanziari italiani. Il bocco delle attività dovrebbe comprendere ogni articolazione statale, eccetto quelle alimentari, sanitarie e di ordine pubblico. Permettere il funzionamento delle fabbriche potrebbe consentire la proliferazione del virus in un ambiente chiuso e circoscritto, vanificando tutto il lavoro fino ad ora svolto.

Il premier, in alternativa, ha consigliato agli imprenditori italiani di ricorrere alle ferie obbligate, in modo da ammortizzare nel lungo periodo il momento di recessione. Anche in questo il nocumento graverebbe sempre sulle spalle delle maestranze che non si troverebbero nella possibilità di godere come meglio credono il proprio tempo libero ma, al contrario, sarebbero costretti a rimanere in casa. L’emergenza sanitaria dovrebbe essere percepita e vissuta nello stesso modo da tutti i cittadini, ovvero evitando quanto più possibile ogni contatto e trasporto superfluo, in modo da bloccare il dilagare di questa disgraziatissima pandemia.

Lo Stato deve assumersi la responsabilità di attuare misure anche più drastiche rispetto a quelle fino ad ora decretate se ve ne sarà bisogno. Ma non solo: si dovranno rompere con fermezza i legami di sudditanza che intercorrono con l’alta finanza e dichiararsi legittimi esecutori della politica interna.

Siamo in un momento di forte recessione ma è proprio dalle situazioni di difficoltà che si possono scorgere le dinamiche sociali e pianificare un futuro diverso. Sarebbe da incoscienti non prendere provvedimenti immediati per evitare il collasso economico nel post crisi, ma questi provvedimenti non devono ricadere sulla salute dei cittadini. Perché, altrimenti, il messaggio che passerebbe è che esistono lavoratori di prima classe e lavoratori di seconda, forse anche di una terza. Lo Stato deve assumersi la responsabilità di essere sovrano e legittimo. Questo, infatti, potrebbe diventare il momento opportuno per mettere in discussione il Patto di Stabilità e Crescita e il Fiscal Compact. Adesso occorrerebbe sviluppare una politica nuova e di rottura che metta al centro una futura tassazione progressiva per le multinazionali e le e-commerce. Ora si dovrebbe impedire che le diverse piattaforme telematiche possano sfruttare i territori nazionali pagando imposte ridicole, aumentando, così, le difficoltà delle piccole e medie imprese che, poste davanti ad una continua gara al ribasso, sono costrette a chiudere.

Questa sorta di default ancora circoscritto sta progressivamente sollevando il sipario sulle debolezze della nostra beneamata Italia. Stiamo vedendo giorno dopo giorno che le maggiori vittime di questo blocco economico sono i piccoli esercenti e i lavoratori precari e freelance. Proprio loro che rappresentano la spina dorsale, midollo compreso, dell’ormai sconvolto Bel Paese. Una straordinaria Penisola fatta di piccole attività, artigiani, dettaglianti, bottegai, ristoratori e tanti ma tanti precari, per nostra e loro sfortuna. La nazione dei tre Mari dovrebbe utilizzare questo momento di decremento economico per sviluppare un nuovo indirizzo politico e finanziario, partendo dal discorso che tocca in primo luogo la sanità pubblica. Utilizzare poi i proventi dalla tassazione progressiva per istituire un fondo sociale che possa accorrere a sostegno delle attività di piccolo e medio cabotaggio che hanno risentito più pesantemente della stretta sanitaria. Ripartire, in ultima analisi, da una nuova concezione del lavoro e della dignità umana.

È arrivato il momento di capire se l’Italia è una repubblica fondata sui lavoratori o sugli interessi delle multinazionali.

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