Nella “forma mentis” dei genitori è presente l’ombra della pedofilia, una concezione ancora dominante nell’immaginario collettivo.
Solo la scuola è a misura di donne? Il mondo dell’istruzione è composto, in una percentuale altissima, da figure femminili. Nella scuola dell’infanzia rappresentano il 99% e nella primaria il 96,3%. Vale a dire che la discriminazione di genere inizia sin dalla più tenera età! Secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, l’83% dei docenti sono donne. Offrire cura e processi educativi sono stati considerati, da sempre, lavori facili, a cui le donne sono “naturalmente predisposte”.
La moderna pedagogia, da qualche tempo, ha deciso di studiare alcune zone problematiche: il rapporto tra cura della prima infanzia e maschilità, nuove paternità, violenza di genere. E’ emerso un dato particolare: la presenza femminile è totale quando i bambini sono piccoli, poi con l’aumento dell’età decresce, ma è sempre alta. Come a dire che i maschi, nel processo educativo, appaiono, comunque con una percentuale non alta, solo quando gli allievi sono adolescenti. Questo perché, per decenni, il ruolo della maestra è stato considerato come il prolungamento di quello materno, quindi più in grado, perché “naturalmente predisposta” alla cura dei bambini. Con la scuola secondaria inferiore, la “cura” passa in secondo piano, rispetto alla competenza della disciplina insegnata. L’ingresso del genere femminile nel mondo della scuola è stato facilitato in quanto ritenuto conciliabile coi tempi di vita, aspetto che i maschi non si sono mai posti.
Non di secondo piano è l’aspetto economico e sociale, nel senso che il basso stipendio e prestigio non attraggono il genere maschile. Dall’impatto di questa situazione scaturisce un modello educativo al femminile che si impone sull’immaginario sui bambini. Ovvero che la professione di maestra non può che essere al femminile, per cui la presenza maschile, molto remota, costituisce un’anomalia. Questo dato di fatto, non è stato valutato, finora, problematico, né dalle istituzioni politiche né dalla società, per cui non si vedono all’orizzonte piani di azione per una svolta. C’è da registrare che, culturalmente, gli stereotipi di genere, sono ancora presenti nei testi scolastici delle scuole elementari, anche se qualche cambiamento in positivo, negli ultimi anni, si è verificato. Inoltre, nella “forma mentis” dei genitori è presente l’ombra della pedofilia, soprattutto nelle scuole d’infanzia e materne, se ad occupare il ruolo di educatore è un maschio. Concezione frutto, anche qui, di un immaginario stereotipato di un maschio vittima degli impulsi sessuali incontrollati.
Nell’ultimo decennio, a dire il vero, i padri esprimono la loro presenza ai nidi di infanzia, fatto che non succedeva in passato. Nelle istituzioni educative, al contrario, di luci all’orizzonte non se ne vedono: il settore continua ad essere dominato dalla presenza femminile. In famiglia, i padri di ultima generazione sembrano più attenti alla cura dei propri figli, anche se, pare, preferiscano le attività più divertenti e tralasciano quelle più spinose, come l’igiene dei bambini. Ora è chiaro che smuovere stereotipi secolari è una “mission impossible” e i cambiamenti sono molto lenti. Quando vengono attuati, buona parte del prima, resta e continua a procurare fastidi.
L’aspetto più sconcertante è che la politica, con le tante “grane” che si trova ad affrontare, sembra non considerare il fenomeno. La società civile, fagocitata dalla sopravvivenza quotidiana, ha altro a cui pensare. Non bisogna meravigliarsi, quindi, che sin dalla più tenera età vengano inculcati differenziazioni di genere, i cui effetti critici si manifesteranno nell’età adulta. Il cammino da percorrere è ancora lungo e irto di difficoltà. Ma un tentativo va fatto, perché l’immobilismo è la peggiore terapia, per non trovarci tra qualche decennio a ripetere gli stessi concetti!