Il rettore Flavio Deflorian, che si chiamerà rettora, ha parlato di atto simbolico per dimostrare parità di genere a partire dal linguaggio.
Trento – Nel mondo del politically correct arriva l’ennesima follia, forse una provocazione ma difficilmente comprensibile, dall’Università di Trento. Declinare tutto al femminile: il rettore diventerà la rettrice, lo studente verrà chiamato studentessa. In barba al sesso maschile che verrà cancellato. Non è uno scherzo. Una sorta di gender gap al contrario, che in questo caso non può che suscitare ironia e ilarità nelle persone di buon senso, maschi e femmine al completo. Ebbene, l’Università di Trento ha riscritto per intero il proprio regolamento generale dell’Ateneo, usando il cosiddetto femminile “sovraesteso”.
Che cosa significa? Che sono scomparsi tutti i termini al maschile. Un ribaltamento totale che va oltre l’uso della controversa “Schwa” perché, pur puntando all’inclusione, non lo fa attraverso un approccio neutro, come appunto la schwa, bensì riscrivendo tutto al femminile. Per cui, anche se il rettore sarà uomo, da oggi, si chiama “Rettora”. Infatti all’Articolo 1 del Regolamento universitario si legge che “i termini femminili usati in questo testo si riferiscono a tutte le persone”. Quindi anche ai maschi. Se non altro non ci si dovrà neppure sforzare di ragionare se stiamo parlando di uomini o donne, tutti nel calderone. Comodo no?
La novità è stata approvata dal Consiglio di amministrazione che, lo scorso 28 marzo, ha varato l’originale documento scritto usando il “femminile sovraesteso” per le cariche e i riferimenti di genere. E se qualcuno si chiede se l’amministrazione di UniTrento sia nelle mani di tutte donne, la risposta arriva del rettore, pardon rettrice Flavio Deflorian, che ha parlato di un atto simbolico per dimostrare parità di genere a partire dal “linguaggio dei nostri documenti”. Un fatto simbolico certo, ma che andrà comunque ad avere un impatto sugli atti e nella pratica burocratica dell’Università perché il regolamento disciplina la costituzione, le modalità di elezione e il funzionamento degli organi di Ateneo, oltre a dettare le disposizioni generali di tutta l’organizzazione delle strutture accademiche e la gestione dei beni dell’università trentina.
Così da oggi, poco importerà se ci sarà un uomo a ricoprire una carica. Dovrà accettare il fatto che, nelle cinquanta pagine di documento non ci sarà più un termine al maschile e che la sua carica sarà declinata al femminile. Se verranno citati per nome e cognome, la carica si accoderà al genere, ma nel documento si leggerà: “la presidente”, “la rettrice”, “la segretaria”, “le componenti del Nucleo di valutazione”, “la direttrice del Sistema bibliotecario di ateneo”, “le professoresse”, “la candidata”, “la decana”. Tutti termini che, da oggi, saranno citati e ripetuti più volte in riferimento a chiunque, a prescindere dal genere.
Del resto la mania del linguaggio di genere ha ancora un grande appeal tra quelli del ‘politically correct’, perché distinguere uomo e donna, soprattutto nelle alte cariche politiche e istituzionali è un fatto di vita o di morte. Peccato che l’Accademia della Crusca, una delle poche istituzioni che conosce, studia e rappresenta la lingua italiana nel mondo e ne porta in alto bellezza e valori, dica esattamente il contrario e bolli questa ostinazione come ‘reduplicazione retorica’. La Crusca ha detto basta a schwa e asterischi e nel dibattito linguistico-politico entra a gamba tesa. Basta con la duplicazione di generi e all’articolo davanti ai cognomi femminili, ha fatto notare più volte l’Accademia.
Ma l’Università di Trento, in barba alla linguistica e alla Crusca, punta a rendere tutto molto fluido. “Nella stesura del nuovo Regolamento abbiamo notato che, accordarsi alle linee guida sul linguaggio rispettoso, avrebbe appesantito molto tutto il documento – ha spiegato “la rettrice” Flavio Deflorian -. In vari passaggi infatti si sarebbe dovuto specificare i termini sia al femminile, sia al maschile. Così, per rendere tutto più fluido e per facilitare la fase di confronto interno, i nostri uffici amministrativi hanno deciso di lavorare a una bozza declinata su un unico genere. Hanno scelto quello femminile, anche per mantenere all’attenzione degli organi di governo la questione”.
“Leggere il documento mi ha colpito. Come uomo mi sono sentito escluso – ammette la futura rettrice- . Questo mi ha fatto molto riflettere sulla sensazione che possono avere le donne quotidianamente quando non si vedono rappresentate nei documenti ufficiali. Così ho proposto di dare, almeno in questo importante documento, un segnale di discontinuità. Una decisione che è stata accolta senza obiezioni”. Resta però una domanda: questa ossessione forsennata per il politically correct non sta rischiando giorno dopo giorno di estirpare tutte le nostre radici culturali?