Le sentenze non si commentano, si accettano. Ma il verdetto sulla morte della ragazza pakistana lascia l’amaro in bocca nell’opinione pubblica. Con le motivazioni si conosceranno i motivi dell’assenza di premeditazione e del ruolo nell’omicidio dei due cugini assolti.
NOVELLARA (Reggio Emilia) – Ad ammazzare Saman Abbas, la studentessa pakistana di 18 anni deceduta nella notte fra il 30 aprile e l’1 maggio 2021, sarebbero stati i suoi genitori con l’aiuto dello zio. Il processo di primo grado, infatti, si è concluso con la condanna all’ergastolo per Shabbar Abbas e Nazia Shaheen (latitante in Pakistan) e 14 anni di reclusione per lo zio Danish Hasnain. Assolti e immediatamente scarcerati i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq i quali, alla lettura della sentenza, sono scoppiati in lacrime ed hanno abbracciato i loro difensori.
Gli imputati accusati di omicidio e soppressione di cadavere, presenti in aula alla lettura del verdetto, non hanno abbozzato alcuna reazione: ”Mai nella vita mia ho pensato di uccidere mia figlia – aveva detto Shabbar Abbas ai giudici della Corte d’Assise prima della sentenza – Neanche gli animali fanno queste cose“. La Procura reggiana, di contro, aveva chiesto le condanne all’ergastolo per i genitori di Saman e 30 anni per tutti gli altri (da ridurre a 26 con le attenuanti generiche), ma il consesso giudicante ha inteso assolvere i due cugini della sfortunata ragazza di Novellara.
Durante il processo sono venute meno le aggravanti di premeditazione e motivi abietti contestati a tutti gli imputati, con l’eccezione di quella del legame familiare contestata soltanto ai genitori. Madre e padre di Saman, dunque, sono stati condannati per il reato di omicidio con un’unica aggravante, ma assolti dalla soppressione di cadavere per non aver commesso il fatto. Lo zio Danish Hasnain, l’uomo indicato dai magistrati inquirenti come l’esecutore materiale del delitto, ovvero colui il quale avrebbe strozzata Saman Abbas, si è beccato 14 anni di galera.
L’uomo è stato condannato per omicidio e soppressione di cadavere con le attenuanti generiche ed è stato dunque ammesso al rito abbreviato, precedentemente rifiutato dai giudici per la presenza delle aggravanti poi cadute durante il procedimento, a cui è seguita la riduzione di un terzo della pena. Tutti gli imputati alla sbarra sono stati assolti perché il fatto non sussiste dall’accusa di sequestro di persona. La Corte d’Assise, presieduta da Cristina Beretta, ha ricostruito nel merito il delitto in maniera difforme rispetto alla pubblica accusa che, come abbiamo detto, aveva richiesto il fine pena mai per i genitori di Saman e 30 anni di reclusione per zio e cugini.
Per la Corte reggiana non si sarebbe trattato di un omicidio studiato a tavolino da tempo, compreso lo scavo della buca dove Saman è stata ritrovata un anno e mezzo dopo il delitto. Per la Procura, inoltre, i genitori e i cugini avrebbero seppellito la ragazza per nasconderne il corpo, invece proprio i due cugini sono stati assolti per non aver commesso il fatto. La medesima Corte, inoltre, non ha concesso alcun risarcimento al fratello della vittima, Alì Haider, e men che meno al fidanzato Saqib Ayub, entrambi costituitisi parte civile.
Gli unici risarcimenti concessi dalla Corte sono stati quelli in favore delle associazioni contro la violenza sulle donne (pari a 25mila euro cadauna), alle associazioni islamiche (10mila euro ciascuna), all’Unione Comuni bassa reggiana (30.000euro) e al Comune di Novellara (50.000 euro). Le reazioni non si sono fatte attendere:
“È un momento di commozione, siamo tutti molto soddisfatti – ha detto l’avvocato Maria Grazia Petrelli, difensore di Ikram Ijaz – È una sentenza che speravamo, ci credevamo ed è arrivata. Ikram si è sempre proclamato innocente e ce l’abbiamo fatta a provare la sua innocenza“. Stessa soddisfazione per l’avvocato Luigi Scarcella, difensore di Nomanhulaq Nomanhulaq: “È il risultato che speravamo, ci credevamo fin dal primo giorno – ha aggiunto il penalista – Lungo e faticoso lavoro, di cui oggi cogliamo i frutti“. Il legale di Danish Hasnain ricorrerà in appello: “Farò appello – ha proseguito l’avvocato Liborio Cataliotti – Accetto la condanna per aver disperso, sottratto o occultato il cadavere, del resto lo ha fatto ritrovare, però impugnerò la condanna per omicidio. Esiste anche il secondo grado di giudizio“. Infatti è solo finito il primo tempo.