La ragazza era deceduta dopo una rovinosa caduta dalle scale sospinta dal fidanzato. La sentenza dopo 4 anni: l’ex puglie in primo grado era stato assolto.
ROMA – La Cassazione ha confermato la condanna a 22 anni di carcere per Andrea Landolfi Cudia, 34 anni, boxeur, fidanzato di Maria Sestina Arcuri, 26 anni, la ragazza morta la notte fra il 3 ed il 4 febbraio del 2019 dopo una caduta rovinosa dalla scala di casa a Ronciglione, in provincia di Viterbo. La vittima, di origini calabresi, risiedeva a Roma dove faceva la parrucchiera in un salone di bellezza di viale Eritrea, nel noto quartiere africano. Gli Ermellini del Palazzaccio hanno rigettato il ricorso presentato dall’ex pugile romano che, in primo grado, era stato assolto dalle accuse di omicidio volontario ed omissione di soccorso.
Tornando indietro nel tempo Andrea e Maria Sestina avevano deciso di trascorrere il week-end in casa della nonna di lui, Mirella Iezzi, 84 anni, domiciliata in via Papirio Serangeli, nel centro storico di Ronciglione. I due, in tarda serata, iniziano a litigare forse perché la ragazza non se la sentiva più di continuare la relazione sentimentale. Intorno alle 2 di notte, Sestina cade dalle scale e batte la testa sul caminetto del salone. Landolfi racconterà agli inquirenti che anche lui sarebbe scivolato dalle scale ma senza conseguenze. La ragazza, invece, si sarebbe rialzata da terra per andare in camera da letto a dormire nonostante fosse assai dolorante. Poco prima dell’alba Landolfi avrebbe chiamato il 118 perché Maria Sestina, pare in stato di incoscienza, perdeva sangue da naso e orecchie.
La ragazza spirava dopo due giorni in ospedale per le gravi contusioni riportate al cranio. In sede di autopsia la Procura nominava due consulenti tecnici d’ufficio, i medici legali Mauro Bacci e Massimo Lancia, che giungevano ad una conclusione univoca: le lesioni sulla vittima non erano compatibili con un rotolamento del corpo sui gradini ma riconducibili ad un corpo sospinto in caduta libera con accelerazione dall’alto verso il basso conclusasi con un impatto contro una superficie liscia e piana. Con i risultati dell’esame autoptico il Pm Franco Pacifici chiedeva l’arresto per Landolfi ma un mese dopo il Gip Francesco Rigato rigettava il provvedimento restrittivo. Il pubblico ministero appellava il diniego al tribunale del Riesame al quale presentava altre verifiche investigative. Subito dopo la caduta dalla scala, sosteneva l’accusa, Landolfi avrebbe colpito anche la nonna incrinandole tre costole.
Dopo i due anni di carcere preventivo l’ex pugile veniva ritenuto innocente dunque assolto con formula piena per non aver commesso il fatto. Per i giudici di primo grado non si era trattato di femminicidio ma di incidente domestico. La sentenza però veniva appellata da tutte le parti in causa e la Corte d’Appello di Roma ribaltava completamente la prima sentenza condannando Landolfi a 22 anni di reclusione. Per i giudici di secondo grado l’uomo non può che essere colpevole perché avrebbe lanciato la fidanzata dalle scale, facendola precipitare dall’alto, unica dinamica ritenuta possibile dalla Corte.
E lo avrebbe fatto con “intento letale” omettendo qualsiasi iniziativa per tentare di salvarle la vita. Tant’è che l’ambulanza era stata chiamata diverse ore dopo la caduta. Il processo appellato approda in piazza della Repubblica e i supremi giudici accoglievano la richiesta del sostituto procuratore generale che il 9 novembre scorso aveva chiesto in udienza di rigettare il ricorso presentato dall’avvocato Serena Gasperini, difensore dell’imputato.
Infine il verdetto: confermati i 22 anni di carcere per Andrea Landolfi Cudia. Per i parenti della vittima ha parlato il loro avvocato, Vincenzo Luccisano:
“Dopo quattro anni è finalmente arrivata la parola fine a questo processo – ha detto Luccisano – Sono soddisfatto professionalmente…Ma c’è la tristezza per la famiglia di Sestina a cui è stata sottratta violentemente una figlia e una sorella”. La difesa, con forza, spara a zero: “Ho la nausea – afferma l’avvocato Serena Gasperini – Hanno confermato la condanna a Landolfi, assolto in primo grado e poi condannato in appello. Se è questo ciò che mi devo aspettare nella mia professione, mi viene voglia di posare la toga. Povero chi ci incappa nella giustizia. C’è da aver paura. Potrebbe succedere a ognuno di noi”.