Pendolare assiderato e vincente

La Cassazione condanna Ferrovie dello Stato a risarcire il “danno esistenziale” ai passeggeri di un treno rimasto fermo 24 ore, ma nega lo “stress del pendolare”.

Roma – Intrappolati per un’intera giornata su un convoglio bloccato dalla tormenta, senza riscaldamento e cibo: l’esperienza “no limits” vissuta dai passeggeri del treno Roma-Cassino, che nel febbraio 2012 rimasero isolati dal mondo a causa della sospensione della circolazione dovuta a una nevicata, ha scaldato i cuori dei giudici della Cassazione al punto da indurli a vergare una sentenza che, secondo il Codacons, riconosce in modo definitivo il danno esistenziale da ritardo del treno, e apre le porte ai risarcimenti in favore degli utenti danneggiati dai disservizi ferroviari anche in caso di maltempo.

C’è del vero in quel che dice il Comitato consumatori, ma anche un sovrappiù di entusiasmo dettato forse dal fatto di vedere per una volta sul gradino più alto del podio la categoria più tartassata del contemporaneo: i pendolari. C’è un giudice a Berlino anche per loro, i forzati delle tradotte del Terzo millennio, ammassati, assonnati, infreddoliti e sballottati, perennemente in ritardo, destinati al fronte del lavoro quotidiano.

Per quelli del treno Roma-Cassino, finiti mezzi assiderati in una notte di tregenda, la Suprema Corte ha stabilito un rimborso di 400 euro, a fronte del costo del biglietto di 5 euro, respingendo la difesa tentata da Ferrovie: “I bollettini metereologici risultavano aver chiarito in misura sufficiente – al di là quindi delle pur possibili evoluzioni ulteriormente peggiorative – a dover indurre l’esercente il servizio di trasporto ferroviario a predisporre, con precauzionale diligenza, misure organizzative di assistenza, indipendentemente, cioè, dalla possibilità di porle in essere, in forma ridotta, una volta concretizzata la situazione di emergenza …”.

Danno esistenziale ai pendolari, Codacons: decisione importante

E ancora motivando: “Il tribunale ha evidentemente quanto ragionevolmente ritenuto il travagliato viaggio di quasi ventiquattro ore continuative in defatiganti condizioni di carenza di cibo, necessario riscaldamento e possibilità di riposare, un’offesa effettivamente seria e grave all’individuabile e sopra rimarcato interesse protetto, tale da non tradursi in meri e frammentati disagi, fastidi, disappunti, ansie o altro tipo di generica insoddisfazione”.

Ma dato che il veleno sta nella coda, i “frammentati disagi e la generica insoddisfazione” di cui parlano gli Ermellini nella recente sentenza pare richiamare sinistramente i motivi addotti sempre dalla Cassazione per rigettare, nel 2019, la richiesta di danno esistenziale presentata da un professionista di Piacenza che tutti i giorni in viaggio per Milano lamentava “ritardi sistematici, sporcizia e affollamento” e che, anno dopo anno, aveva visto la qualità della sua vita “particolarmente peggiorata, per la significativa perdita di tempo, per la stanchezza cronica, ansia e stress, per il tempo sottratto alla famiglia e al riposo“.

Coerente con se stessa, la Suprema Corte sostanzialmente ritiene che, per ottenere il risarcimento per lo stress dei trasferimenti da incubo, non basta aver viaggiato in piedi su treni gelati d’inverno e torridi d’estate, in ritardo sette mesi su sette, con bagni sporchi e mai un posto a sedere libero, in palese violazione di qualunque standard di comfort garantito. Occorre molto di più, per esempio rimanere dispersi nella neve per almeno un giorno, senza acqua ne cibo, disperando di poter tornare. Altrimenti, spiegano i giudici, trattasi di “fastidi, disappunti, ansie o altro tipo di generica insoddisfazione“.

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