L’inchiesta coordinata dalla Dda ha svelato la riorganizzazione del clan e l’aumento delle estorsioni agli imprenditori. In particolare dalla scarcerazione del presunto boss Sebastiano Gurgone.
Enna – Al termine di due anni di indagini coordinate dalla Dda di Caltanissetta, i carabinieri hanno assicurato alla giustizia sette persone indiziate per associazione a delinquere di stampo mafioso, aggravata dalla disponibilità di armi, ed estorsione aggravata dal metodo mafioso.
L’Operazione Stiela pone il sigillo ad un’attività investigativa che ha rivelato la riorganizzazione di Cosa nostra, in particolare della famiglia di Enna, a seguito della scarcerazione di Sebastiano Gurgone nell’aprile del 2019, che più volte si sarebbe vantato del suo status di uomo d’onore, ruolo che lo poneva al
vertice del sodalizio mafioso.
Insieme al presunto boss sono finiti in carcere Sebastiano Calcagno, 34 anni, Giuseppe Scibona, 70 anni e Cristoforo Scibona, 45 anni, tutti residenti a Valguarnera Caropepe. Contemporaneamente il Gip ha disposto gli arresti domiciliari per Antonino Martorana, 51 anni, indagato per riciclaggio, Filippo Greco, 63 anni, indagato per assistenza agli associati, e Rosario Catalano, 84 anni, indagato per usura.
In base alle risultanze investigative, l’organizzazione avrebbe allungato i tentacoli sulla quell’area
della provincia di Enna conosciuta come Valle del Dittaino, principale zona produttiva del territorio che, come già sancito in diverse sentenze, ha da sempre suscitato gli appetiti della criminalità mafiosa.
L’attenzione degli inquirenti si è concentrata oltre che su Sebastiano Gurgone, anche sui suoi più stretti
collaboratori, ovvero Sebastiano Calcagno – figlio di Domenico, elemento di rilievo di Cosa nostra ennese ucciso nel 2003 per contrasti insorti all’interno dell’organizzazione mafiosa– , e su Cristofero Scibona e il padre Giuseppe, rispettivamente nipote e cognato del defunto Calcagno.
L’organizzazione avrebbe esercitato la sua pressione estorsiva a danno di importanti attività produttive della Valle del Dittaino, in particolare su due imprenditori costretti a versamenti annuali al clan . Nelle more dell’inchiesta è tra l’altro emerso che la “famiglia” avrebbe avuto la disponibilità di armi, da utilizzare all’occorrenza per perseguire gli scopi illeciti, alcune delle quali detenute da diversi anni, perché già appartenute al defunto Calcagno. Nel contesto di un presunto episodio estorsivo sono state documentate anche le condotte di Antonino Martorana, che si sarebbe occupato di nascondere la provenienza del denaro estorto attraverso l’emissione di una fattura falsa nei confronti della vittima dell’estorsione.