Le indagini sulla morte del giovane autista non tralasciano alcuna pista. Gli inquirenti non hanno creduto alla versione dei due indagati che, per altro, si sono contraddetti. Basilare la verifica dei cellulari in uso ai due cugini e alla vittima per stabilire eventuali contatti fra i tre uomini prima della tragedia.
MESTRE – La morte di Lorenzo Nardelli, autista e bagnino di 32 anni, deceduto nella notte fra il 9 e 10 agosto scorsi, sarebbe da attribuire ad un agguato pianificato e non ad un omicidio come reazione ad un tentativo di furto. La grave ipotesi di reato è scaturita dalle risultanze degli inquirenti a seguito degli interrogatori dei due cugini moldavi, Radu e Marin Rusu, accusati di omicidio. Inizialmente si era parlato di un furto in appartamento con la vittima sorpresa a rubare e morta in una colluttazione, ma ben presto questa pista è stata abbandonata dagli inquirenti per lasciare spazio all’ipotesi di omicidio volontario.
Ma andiamo ai fatti di quella tragica nottata durante la quale diversi inquilini sentivano urla e rumori assordanti provenire dalla tromba dell’ascensore del condominio Bandiera di via Rampa Cavalcavia 9 a Mestre. Qualcuno chiama la polizia e sul posto arrivano gli agenti della Volante a cui un paio di testimoni raccontano di tre persone che si sarebbero picchiate furiosamente e che subito dopo erano rimaste bloccate nell’ascensore. A questo punto intervengono i vigili del Fuoco che forzano le porte. La scena che appare davanti agli occhi di tutti è terribile: sul pavimento della cabina c’è il cadavere di Lorenzo Nardelli, con una profonda ferita alla testa.
Con la vittima, supina in un lago di sangue, ci sono due giovani che abitano nel condominio. I due vengono presto identificati come Radu e Marin Rusu che danno subito agli investigatori la loro versione dei fatti:
” Era un ladro, ce lo siamo trovato in casa – raccontano all’unisono – Stavamo cenando nell’appartamento del compagno della madre di Radu, bevendo grappa, quando ci siamo trovati dentro casa un uomo. Abbiamo pensato che fosse un ladro… Ci siamo picchiati prima dentro l’appartamento, poi sul pianerottolo del terzo piano quindi nell’ascensore dove si era rifugiato il ladro nel tentativo di fuggire…”.
L’autopsia però fa “parlare” il cadavere: Radu avrebbe preso la testa di Nardelli e gliela avrebbe sbattuta contro lo stipite dell’ascensore provocandone la morte dopo una scarica di calci e pugni. Ma non basta. Marin sostiene che, mentre erano bloccati nell’ascensore con Nardelli, qualcuno da fuori li avrebbe minacciati di morte con frasi come “vi ammazzo” e “aspetta che prendo la pistola e vi sparo”. Le frasi sarebbero di due presunti complici di Nardelli che Marin avrebbe visto fuggire per le scale ma dei due uomini non c’è traccia nei video delle telecamere di sorveglianza ubicate all’esterno del condominio. Radu, di contro, non avrebbe mai riferito di complici e minacce, dunque come stanno davvero le cose? Non certo come le avrebbero raccontate i due moldavi.
Del resto se Nardelli avesse voluto rapinare qualcuno sarebbe giunto sul posto con la sua Opel Astra senza arnesi da scasso e facendosi vedere da chiunque? Ma allora perché Nardelli si trovava in via Rampa Cavalcavia 9? Le indagini della Squadra mobile, coordinate dal Pm Stefano Buccini, stanno chiudendo il cerchio ma pare che i tre si conoscessero nonostante i due cugini, difesi dall’avvocato Jacopo Trevisan e interrogati separatamente, abbiano negato questa possibilità. In corso le verifiche dei cellulari in uso ai due cugini e alla vittima per stabilire se i tre abbiano avuto contatti prima della tragedia.
Comunque stiano le cose Il Gip di Venezia, Alberto Scaramuzza, ha contestato agli odierni indagati, oltre l’omicidio volontario, l’ipotesi dell’agguato pianificato ovvero di uno stratagemma per attirare la vittima in casa loro per poi ucciderlo per motivi ancora ignoti. Questione di soldi, donne, droga o che altro? Intanto Radu e Marin Rusu rimangono in carcere con una seconda ordinanza di custodia cautelare mentre il loro difensore ha detto di non sapersi spiegare perché il giudice ipotizzi la pista di una “trappola” e quale ne sarebbe stato il movente. I due indagati hanno risposto al Gip reiterando la versione di una reazione ad un tentativo di furto:
”Lorenzo era contento e soddisfatto del suo lavoro – racconta la mamma della vittima Adriana Pizzati – ne era orgoglioso anche il suo titolare. Spero solo che i responsabili paghino finendo i loro giorni in carcere. Non sappiamo come si siano incontrati, ma per noi nostro figlio e quei due si conoscevano”.