L’importante scalo aereo è ancora nel caos fra voli cancellati, urla dei passeggeri, caldo asfissiante e disservizi da terzo mondo. Incalcolabili i danni economici e d’immagine al turismo isolano. Entro il 7 di agosto si dovrebbe passare a 14 voli giornalieri, 7 in arrivo e altrettanti in partenza, ma chi può dirlo? La struttura danneggiata rimane sotto sequestro. Forse verrà montata una tenda militare con un gate in più. Nessuna conferma.
Milano – Le previsioni erano nere, a sentire tutti i telegiornali, ma per chi ha prenotato il biglietto per la Sicilia, carissimo, già un mese prima il problema non si pone. La giornata era iniziata male a Malpensa Terminal 2, il rinnovato scalo aereo lombardo, chiuso durante la pandemia, e restituito alle utenze, si fa per dire, il 31 maggio scorso.
L’aeroporto, rimodernato a fronte di una spesa di decine e decine di milioni di euro, è senz’altro più grande, più efficiente, con qualche negozio in più e diversi spazi riservati alla ristorazione dove respirare, in questo periodo, diventa difficoltoso anche a fronte di una scarsa aerazione forzata che non riesce a convogliare all’esterno l’odore sgradevole dei cibi cucinati. Ma tant’è.
Dopo aver passato indenni la barriera di sicurezza eccoci davanti all’edicola dove per una bottiglietta d’acqua dal prezzo proibitivo e un giornale aspettiamo una ventina di minuti perché tutte e tre le casse, nuove di pacca, erano guaste. I posti a sedere sono quelli che sono e decine di passeggeri bivaccano per terra caricando i telefonini nelle prese di servizio o approfittando dell’attesa per lavorare al Pc. Finalmente il tabellone delle partenze, con meneghina puntualità, indica il numero del gate per il volo diretto a Catania: il 17.
Dopo qualche scongiuro maschile facilmente immaginabile, zainetto e trolley al seguito, ci dirigiamo verso una delle ultime porte d’imbarco che corrisponde, per l’appunto, al numero più sfortunato per antonomasia. Giunti in prossimità del tabellone che indica destinazione, orario e temperatura del capoluogo etneo, la prima sorpresa. Non si vedono i servizi igienici. Dove saranno? Dopo un giro vicino agli altri gate li troviamo: sono solo 2 in altrettanti locali.
Ogni locale ha due porte, una per il wc uomini, l’altra per il wc disabili. Stessa cosa nell’altra “ritirata”, poco distante: wc donne più wc disabili. All’interno dei prefabbricati che sembrano in cartongesso non ci sono lavabi. I lavandini infatti sono soltanto all’interno dei wc dunque se devi lavarti le mani la fila sarà inevitabile. In quella giornata torrida abbiamo fatto pipì dopo 18 minuti di coda ma vabbè, finche c’è la salute ed una vescica efficiente sono questi i problemi?
Torniamo al gate 17 evitando fastidiosi gocciolii d’acqua che percolano dal soffitto avevano creato piccole pozze sul pavimento, opportunamente segnalate, ma non tutte, dai cartelli gialli che indicano solitamente la pulizia delle toilette. E che sarà mai? L’aeroporto è nuovo e qualche difettuccio ci può stare, e che cavolo. Il tempo passa ma l’imbarco ritarda. Dopo più di un’ora diversi passeggeri, avvisati dal vettore con una mail e messaggino del dirottamento del volo su Comiso, si interrogano e pretendono certezze: davvero arriviamo a Comiso? Non è che ci sbarcano a Trapani?
Giravano le notizie più catastrofiche come ore di attesa per scendere dall’aereo, pullman insufficienti e di bus navetta nemmeno a parlarne. Finalmente l’addetta al controllo dei biglietti, a voce dunque senza utilizzare l’altoparlante, inizia a gridare: il volo per Catania è stato dirottato a Comiso… Il volo per Catania va a Comiso, e cosi per una decina di minuti a squarciagola. Nessuna variazione sul tabellone, solo un ritardo di oltre 1 ora e un caldo asfissiante, al gate 17 anche l’aria condizionata non vuole sentirne di funzionare, sarà per quelle perdite dal soffitto?
Si aprono le porte e siamo a bordo, dopo i consueti 15 minuti all’aperto e sotto il sole. Il personale ci fa accomodare e si spreca in sorrisi e come Dio vuole riusciamo a decollare senza alcuna certezza sul nostro destino che ci attende sornione e beffardo.
Il comandante ci sveglia dal torpore del mezzo sonno e annuncia che atterreremo, a breve, presso l’aeroporto di Comiso che già appare alla nostra vista. Atterraggio, applauso rituale e discesa dei passeggeri. Ci dirigiamo verso l’esterno della piccola ma efficiente aerostazione siciliana dove ci attendono, udite udite, i bus navetta messi a disposizione dall’amministrazione aeroportuale di Catania. Si sale alla meno peggio, con bagagli riposti alla rinfusa e senza alcun controllo da parte del personale.
Dopo abbondanti tre quarti d’ora l’autista chiude le porte e parte. A razzo. Per poi imboccare la statale per Catania. Anche sul mezzo a quattro ruote e due piani aria condizionata e ammortizzatori non intendono fare il loro dovere ma dopo un’ora eccoci a Fontanarossa. Giusto il tempo di scendere dal bus per renderci conto del caos che regnava sovrano in ogni parte, soprattutto quella residuale, dell’aeroporto internazionale “Filippo Eredia” di Catania.
Una bolgia infernale di persone dappertutto. Chi aspettava da ore per imbarcarsi sotto un tendone da circo dove l’aria irrespirabile mozzava il fiato, chi era appena arrivato e cercava un mezzo per raggiungere la propria destinazione. Centinaia di turisti, con i volti distrutti dalla stanchezza, seduti sull’erba secca di certe aiuole maleodoranti aspettavano coincidenze e navette di hotel e tour operator.
Sei di numero i wc chimici zeppi di escrementi e impossibili da utilizzare, davanti al Terminal C qualche inutile tenda della Protezione Civile installata laddove, forse, era meglio non metterla. Il traffico di quella domenica indimenticabile era in tilt da ore mentre la viabilità, affidata a privati nella totale assenza di vigili urbani (nella rotonda antistante il Termina C non ne abbiamo visti per ore) non era altro che un groviglio di lamiere caldissime e smog che difficilmente dimenticheremo.
Alle 19 arriviamo a casa, distrutti. A conti fatti ci abbiamo impiegato circa 8 ore, e siamo stati non fortunati, di più. Chi ha gestito le prime fasi dello spegnimento del focolaio iniziale e chi ha gestito e gestisce l’emergenza dovrebbero passarsi un mano sulla coscienza. E arrossire dalla vergogna. Chiudiamola qui.