L’architetto reo confesso ha chiesto scusa per la strage familiare di cui si è reso protagonista perché avrebbe avuto un rapporto difficile con moglie e figli. Aveva premeditato di ammazzarli da un giorno all’altro, poi la furia omicida si è scatenata all’improvviso. Si è salvato solo il primogenito, rimasto gravemente lesionato.
SAMARATE (Varese) – Al processo chiede venia e piange il presunto assassino della moglie e della figlia che ha ridotto in fin di vita anche il suo primogenito: ”Ho commesso un reato imperdonabile e chiedo perdono, non so come scusarmi”, dice davanti ai giudici della Corte d’Assise di Busto Arsizio, Alessandro Maja, architetto e imprenditore di 58 anni, reo confesso, accusato di aver ucciso a coltellate la moglie Stefania Pivetta, 56 anni, e la figlia Giulia di 16, il 4 maggio di un anno fa.
Durante la mattanza, nella casa coniugale di via Torino a Samarate, nel Varesotto, l’uomo colpiva a martellate anche suo figlio Nicolò di 23 anni, finito poi in rianimazione e vivo solo per miracolo. La strage familiare si è consumata nella villetta di famiglia e sarebbe stata pianificata nei minimi particolare secondo quando avrebbero scoperto gli inquirenti. L’uomo avrebbe colpito nel sonno prima la moglie, che riposava sul divano di casa, colpendola prima con un martello per poi sgozzarla con un coltello.
La donna non si sarebbe accorta di nulla e moriva dissanguata. Poi l’uomo avrebbe rivolto la sua furia omicida contro la figlia sedicenne che però si sarebbe svegliata durante l’aggressione del padre assassino dal quale si è difesa con forza sino a cadere sotto i colpi di martello che le avrebbero fracassato il cranio. Poi è toccato a Nicolò che si trovava nella sua stanza e che pare non si sia reso conto della situazione perché sarebbe svenuto dopo i primi colpi di martello in testa. I soccorritori del 118, una volta intervenuti sul posto con i carabinieri, avrebbero soccorso il giovane, l’unico rimasto in vita dei familiari, poi sottoposto a un delicato intervento chirurgico per la rimozione di frammenti d’ossa spezzate nel cranio.
Nicolò dopo mesi di convalescenza tornava alla vita di tutti i giorni ma da quella terribile esperienza si sarebbe ripreso a stento. Alessandro Maja, titolare di una società di progettazione e ristrutturazioni di bar e ristoranti, veniva trasferito, subito dopo il fermo, nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Monza. La sera prima del duplice femminicidio il professionista aveva chiesto scusa alla figlia, senza però aggiungere altro. Un segno premonitore della tragedia che nessuno ha saputo interpretare.
L’uomo si era poi organizzato per la strage preparando in piena notte le “armi” da utilizzare per ammazzare l’intera famiglia: un cacciavite, un martello, un trapano e un coltello. Il movente, ovviamente strampalato, pare fosse riconducibile a problemi economici addotti solo dall’imputato ma che in realtà non c’erano. L’uomo non aveva mai dato segni di squilibrio né, a detta dei vicini di casa, c’erano mai state liti che avrebbero potuto far pensare a crisi familiari irrisolvibili. Maja è stato sottoposto a perizia psichiatrica ma è stato ritenuto capace di intendere, di volere e di poter sostenere il giudizio.
Secondo lo specialista Marco Lagazzi, nominato dalla Corte d’Assise, l’architetto era in pieno possesso delle sue facoltà mentali anche quando, nella notte tra il 3 e il 4 maggio del 2022, sterminò la propria famiglia. Nell’udienza del 19 maggio scorso l’imputato ha rilasciato dichiarazioni spontanee. Si è rivolto al figlio, presente in aula, e anche “alla mia Giulia”:
“Nicolò, mi hai conosciuto come padre – ha detto – e forse come padre ti sono piaciuto. Purtroppo la cosa è successa e non si torna indietro, non penso al suicidio“. L’uomo, rispondendo alle domande della pubblica accusa, dopo aver ammesso le proprie responsabilità, ha parlato anche di problemi legati alla sua attività e di un rapporto difficile con la moglie – ha evidenziato Maja – e mi sentivo trascurato, se tornavo a casa dopo aver tagliato i capelli non si accorgeva neanche. Faceva troppe spese e quando la rimproveravo diceva di avere un disturbo che la spingeva a comprare”. Poi l’uomo ha dato la sua spiegazione sulla scuse poste alla figlia prima della strage: “L’ho fatto perché mi sentivo triste, ero un papà diverso e lei lo capiva”. Poi la notte di tregenda.