Siamo moderni? Mica tanto: nell’antica Roma si costruiva meglio

Uno studio del Massachusetts Institute of Technology ha evidenziato come i Romani riuscivano a creare composti per le costruzioni molto più resistenti di quelli attuali.

Roma – “Strano ma vero” si potrebbe esclamare, citando la rubrica della famosa rivista settimanale di giochi di parole, puzzle sciarade e altro, la Settimana Enigmistica ancora oggi apprezzatissima dai lettori italiani, pur avendo visto la luce nel lontano 1932. Qual è la notizia che ha suscitato tanta sorpresa?

Uno studio del MIT ha rivelato che il cemento per le costruzioni utilizzato dagli antichi romani è più efficace di quello utilizzato dai cosiddetti “moderni. Il MIT, il famoso Massachusetts Institute of Technology, è uno dei più importanti e prestigiosi istituti di ricerca al mondo, con sede a Cambridge, nel Massachusetts, Stati Uniti d’America. Nell’antica Roma si faceva largo uso del cementizio od opus caementicum come materiale da costruzione. Era il risultato di un miscuglio di malta e caementa, ossia pietre grezze o frammenti di pietra spezzati. A sua volta la malta veniva ricavata dalla mescolanza di calce con sabbia o pozzolana, materiale costituito da granuli vetrosi e piccoli cristalli di minerali emessi dal vulcano in fase di eruzione.

Una sezione di un muro eretto dai Romani in una provincia spagnola.

A questo preparato, infine, si aggiungeva il tufo vulcanico. Il tutto veniva reso attivo con l’acqua marina, per poi indurire cementando il composto nella forma che hai al momento. Il prodotto finale era facilmente lavorabile ed economico. Per evitare la formazione di micro-fratturazioni, nella malta veniva inserita una gran quantità di pietre o caementa che interrompevano le linee di frattura, favorendo la solidità del materiale. Sarà per questo motivo che gli edifici, i monumenti e le costruzioni degli antichi romani sono ancora in piedi e hanno retto, finora almeno, all’usura del tempo? Parrebbe proprio di sì, se confrontiamo il risultato delle costruzioni moderne, che mostrano crepe già dopo pochi decenni, se non crollano addirittura, come il “Ponte Morandi” di Genova sbriciolatosi, come una costruzione per bambini, il 14 agosto 2018 e costruito tra il 1963 e il 1967!

Il cemento più utilizzato oggi, il cosiddetto Portland, è un composto di argilla e calcare, ottenuto ad alte temperature e mescolato a gesso con sabbia. La resistenza di questo prodotto va dai 50 ai 100 anni, oltre i quali è destinato a sgretolarsi. Questo nella migliore delle ipotesi, cioè se la manutenzione viene fatta continuamente. Cosa che, come abbiamo visto in Italia, non avviene affatto. Gli studiosi del MIT, per arrivare a queste conclusioni, hanno analizzato un campione di cementizio risalente a un sito archeologico di 2mila anni appartenente a Priverno, in provincia di Latina. La loro attenzione si è concentrata sui clasti calcarei, frammenti ritenuti, sino ad oggi, materiali impuri, perché ricavati da tecniche primitive. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica Science Advances.

Il cemento Portland, molto utilizzato oggigiorno.

È emersa l’ipotesi che i clasti calcarei producevano una reazione chimica attraverso la quale si creavano grosse quantità di calore che impedivano il loro dissolvimento. Ed è stata proprio la presenza dei clasti calcarei a far durare così a lungo gli edifici costruiti. Il processo è stato riprodotto in laboratorio ed è stato osservato che i frammenti di calcare sono stati in grado di autoriparare le microfratture e crepe che si formano nel tempo. Ora, quest’intuizione degli antichi romani, potrebbe – secondo i ricercatori – essere utile anche adesso. Infatti, il cemento potrebbe durare più a lungo, rendendo l’intero settore meno inquinante, poiché non sarebbe più necessario rimpiazzare i fabbricati solo dopo pochi decenni di utilizzo. Ma il consiglio non sarà preso in considerazione e continueremo a farci del male.

Ci diamo un sacco d’arie, in quanto “altamente tecnologici”, credendo di poter controllare tutto. Senza rendersi conto che la conoscenza è nella nostra memoria collettiva e in ciò che ci hanno trasmesso i nostri antenati. Basta saper “leggere” con attenzione tutto quello che ci hanno lasciato!

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