Palermo – Messina Denaro, chi trema dopo l’arresto?

L’arresto di Messina Denaro è stato celebrato trasversalmente dai partiti, ma i segreti custoditi dal boss rischiano di far cadere più di un castello di carte della politica italiana. Dall’agenda rossa di Borsellino allo stragismo, la cattura del latitante può aprire il vaso di Pandora dei rapporti tra Stato e mafia a cavallo della prima e seconda Repubblica.

Palermo – A causa della hubris di un orologio costoso, termina una carriera criminale lunga cinquant’anni. L’arresto di Matteo Messina Denaro chiude una pagina importante della storia della guerra alla Mala – ma è solo l’inizio. I segreti custoditi da Diabolik riguardano la stagione tenebrosa dello stragismo, i rapporti con la massoneria e l’imprenditoria, l’espansione della mafia nel mercato finanziario globale. Che quella di Messina Denaro, confidente delle confessioni di Totò Riina, fosse una “latitanza di Stato”, prolungata così a lungo per evitare il rilascio di informazioni tanto scomode?

Stavolta sono proprio i modi da dandy ad avere fregato il Diabolik di Castelvetrano

Insomma la latitanza, protrattasi fin dal 1993, dell’ultimo dei Corleonesi non è certo un fatto casuale, ma il lavoro di personaggi a cui conviene che Messina Denaro sia “uccellino di bosco“, piuttosto che alla sbarra e di fronte alla tentazione di aprire bocca. Dunque una fitta rete di informatori, collaboratori infiltrati nel campo dello Stato e generosi ospiti in grado di nascondere il boss, depistare, infamare e ostacolare in ogni modo investigatori e inquirenti, stornare indagini, e fare sparire il Diabolik di Castelvetrano sempre all’ultimo secondo, quando sembrava che le forze dell’ordine lo avessero ormai sottomano.

Una rete, dunque, che ha funzionato piuttosto bene, se è vero che la giustizia è riuscita ad acchiappare il latitante dopo ben tre decenni, e solo in un momento di estrema decadenza del boss stesso – orami gravemente malato, e con un’arresto, secondo alcune fonti, preannunciato da diversi mesi. Tanto che non è mancato chi ha definito la cattura di Messina Denaro una “mezza vittoria” dello Stato: in fondo quante malefatte sono state compiute grazie ai decenni di silenzio garantiti da questa latitanza? E poi Messina Denaro sarebbe comunque un’esponente della “vecchia mafia“, tutta pistole ed estorsioni, che ha ceduto il passo alla nuova mala finanziaria e informatizzata.

Questo non rende Messina Denaro meno pericoloso, come recipiente d’informazioni. Si dice sia lui l’ereditiere dei documenti segreti del “padrino” Totò Riina. Proprio lui, ‘U Siccu, il primo a mettere le mani sull’agenda rossa di Borsellino, documento semi-mitico in cui pare fossero contenuti i nomi dei politici che collaboravano con la criminalità organizzata. Chi ha, insomma, più ragione di temere per la cattura di Matteo Massimo Denaro?

L’imprenditoria e la “borghesia nera”

Michele Aiello, luogotenente di Messina Denaro nella sanità privata

Una prima categoria che trema in seguito all’arresto del boss è quella degli imprenditori siciliani collaboratori della mafia, che hanno tratto lauti guadagni dalla cooperazione con il castelvetranese e hanno tutto l’interesse a lasciare su questi traffici un velo di tenebra. Una rete, quella dell’impero economico dei Messina Denaro, che vale circa 10 miliardi, e ha tentacoli dal settore dell’energia eolica a quello della grande distribuzione. Michele Aiello, proprietario numerose cliniche private, ha avuto un ruolo importante nell’inquinare le indagini. Giuseppe Grigoli, “re dei supermercati”, aveva creato una vastissima rete che il aveva permesso di prendere il controllo della distribuzione dell’isola facendo, frequentemente, da prestanome per Messina Denaro. Vito Nicastri e Carmelo Patti, nel corso dei decenni, i suoi luogotenenti nell’eolico.

Insomma una rete di relazioni fittissima che consentiva non solo al Diabolik di fare affari, ma anche di spostarsi (utilizzando elicotteri, camion di trasporto, pescherecci) e di nascondersi. Sembra che gli ultimi mesi di latitanza siano stati trascorsi presso un commerciante d’olive, che forniva il boss di bottiglie d’olio da regalare ai sanitari.

“Loggia nostra”: la collaborazione con la massoneria

Ci volevamo bene”: questa la giustificazione data da Lo Sciuto riguardo ai suoi legami con Diabolik

Il tema della collaborazione tra il Diabolik di Castelvetrano e le logge massoniche siciliane torna continuamente nelle speculazioni che lo riguardano. Uno dei suoi ruoli, del resto, è stato quello di fare riavvicinare la mafia ai salotti della “Sicilia bene“. Logge che non sono più quelle dell’età di Mazzini, tutte templi e cappucci: oggi esistono alla luce del sole, e la loro influenza è accettata. Una influenza piuttosto tangibile: le logge hanno infiltrazioni ovunque, nel pubblico, e hanno il potere di manipolare appalti, incidere sulle nomine della cariche pubbliche, o anche “facilitare” procedure burocratiche di ogni genere.

La massoneria siciliana è un caso a parte. Il suo controllo sull’economia e l’amministrazione locale è ancora più forte, specialmente nel Trapanese; e un’inchiesta del 2016 aveva rilevato l’esistenza di ben 19 logge in questa regione, con dozzine di assessori e consigliere considerati vicini al boss. Una rete le cui diramazioni vanno in tutta Europa: specialmente in Spagna, paese in cui spesso i mafiosi siciliani compromessi si rifugiano, e per lungo tempo contato tra i possibili rifugi dell’erede di Totò Rina. Ma anche oltreoceano, fino al Venezuela, paese le cui logge hanno legami storici con quelle siciliane.

Messina Denaro? Un massone a sua volta. Siede, si dice, nella segretissima Loggia di Sicilia, organizzazione occulta e non dipendente dalla Gran Loggia d’Italia, volto della massoneria “pulita” e pubblica. La loggia di Castelvetrano, paese natale di Diabolik, ha avuto screzi con i superiori nazionali proprio a causa dei suoi rapporti ambigui con la mafia, finendo ora sotto le dipendenze della Gran Loggia di Francia.

Alfonso Tumbarello

La situazione della massoneria castelvetranese si è ulteriormente complicata nel 2019, con il ritrovamento di un bloc-notes con i nomi dei presunti membri di una loggia segreta, e la soffiata di un pentito che ha invitato a indagare in quella direzione, certo che gli inquirenti avrebbero “scoperto molte cose”. Il Gran Maestro italiano si era rifiutato, pochi anni prima, di dare i nomi dei “fratelli“, ma l’emergere del documento ha denunciato comunque diversi nomi. Giovanni Lo Sciuto, deputato regionale, è stata la vittima più illustre della cosiddetta Operazione Artemisia: figura a sua volta vicinissima a Messina Denaro.

Le voci si moltiplicano: si parla di “fino a sei logge” nel territorio di Castelvetrano. Il ritrovamento di ulteriori documenti personali o confessioni di parte del boss potrebbero portare all’emersione di nomi ancora più illustri, nell’ambito della sfera massonica che, secondo Teresa Principato, hanno avuto un ruolo determinante nel proteggere la collocazione e gli spostamenti di Diabolik nei lunghi anni della latitanza, nonché nell’inquinare le indagini.

Ricordiamo che il medico stesso che curava Messina Denaro nell’ospedale, Alfonso Tumbarello, è massone iscritto alla loggia di Valle di Cusa. Le autorità hanno già stabilito che l’uomo non poteva essere all’oscuro dell’identità del suo illustre paziente. La sua pronta rimozione ad opera del Grande Oriente italiano non può dissolvere i sospetti che Tumbarello non si trovasse lì per caso.

La politica. Messina Denaro e la mafia in Forza Italia

La carriera politica di “Tonino” deve molto ai Messina Denaro…

Là dove le confessioni di Messina Denaro potrebbero tirare fuori i segreti più scandalosi e terribili è riguardo alla presunta collaborazione con Silvio Berlusconi negli anni ’90, anni in cui la “Mafia si è presa il paese“, Forza Italia vince le elezioni e la carriera criminale di Diabolik è al suo apice. Uno degli uomini di Messina Denaro è stato, del resto, una figura importantissima del governo Berlusconi: si tratta di Antonio D’Alì, condannato in via definitiva a 6 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel ruolo di Sottosegretario agli Interni, D’Alì, proveniente da una dinastia di borghesia mafiosa fortemente associata ai Messina Denaro, favorì in ogni modo l’espansione della mafia in Sicilia.

Ricandidato nel 2014 con il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano (stesso partito di Lo Sciuto) con grandi celebrazioni per la sua “esperienza” e “competenza”, la carriera politica di “Tonino” ci ricorda fin troppo bene che i tentacoli della Mala nella politica sono lunghi, e difficili da mozzare.

Giovanni Brusca, collaboratore di giustizia, ricorda di come Messina Denaro in persona gli avesse raccontato di Giuseppe Graviano, boss di Brancaccio, e del non-ancora presidente del consiglio Silvione. Una vicenda che testimonia di come ‘U Siccu sia stato un testimone privilegiato dei rapporti tra Stato e mafia dagli anni delle “Trattative” fino al supposto patto berlusconiano. Il tutto mentre il Cavaliere esalta la “vittoria dello Stato” costituita dalla sua cattura.

Il vero covo di Diabolik a Campobello di Mazara

Insomma i segreti custoditi dal principe di Castelvetrano potrebbero fare esplodere il sistema politico vigente, e tagliare la testa alla “borghesia nera” affiliata alle logge e alla Mala. Ma secondo alcune dietrologie, sono segreti destinati a non uscire mai. Diabolik ha già scelto il suo successore, e la sua stessa cattura farebbe parte di un ulteriore accordo segreto tra Stato e Cosa Nostra. Solo il destino dirà quanto la cattura dell’ultimo “superlatitante” diventerà una pagina decisiva nell’ormai troppo lunga storia della guerra alla mafia.

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