Il pastore sardo condannato per triplice omicidio liberato dopo 32 anni: nel processo di revisione il teste chiave ha ritrattato.
“Sono molto contento di lasciare il carcere dopo quasi 33 anni che sono stati lunghissimi. Non so cosa farò per prima cosa: ora sto pensando alla libertà e a non tornare mai più in cella. Aspetto il giorno della sentenza per arrivare a quella verità che ho sempre dichiarato e chiesto”.
Stupiscono la serenità e la compostezza nelle parole di Beniamino Zuncheddu, le prime da uomo libero. Il 59enne, infatti, ha lasciato ieri la casa circondariale di Uta (Cagliari), dopo che la Corte d’appello di Roma, di fronte alla quale si sta svolgendo il processo di revisione che potrebbe portare alla sua liberazione definitiva, ha accolto la richiesta di sospensione dell’esecuzione della pena avanzata dal suo avvocato Mauro Trogu.
Quando è entrato in carcere c’era ancora la Prima Repubblica, i telefoni cellulari pesavano mezzo chilo e Silvio Berlusconi era soltanto un imprenditore milanese. Trent’anni e rotti, sostanzialmente una vita, quella che a Beniamino è stata rubata. Quel lungo intervallo di tempo che coincide di fatto con l’età adulta, gli anni della massima realizzazione della persona, il tempo degli amori e del matrimonio, della paternità e della carriera, dei viaggi e delle serate con gli amici davanti ad una pizza. Niente di tutto questo, soltanto una cella e l’ora d’aria, poi ancora la cella e l’ora d’aria, ogni tanto i colloqui con i parenti. Poi ancora la cella. Per trent’anni e rotti.
Per questo stupisce la compostezza di Beniamino, un uomo che per il (non) vissuto che ha dietro le spalle potrebbe permettersi ben altri toni. La sua storia oggi la conoscono in molti, ma per trent’anni è stato soltanto un buco nero dove il pastore si è visto precipitare insieme ai suoi cari e a quelli che hanno sempre continuato a credere nella sua innocenza.
Beniamino era stato ingiustamente condannato in via definitiva all’ergastolo, accusato di un triplice omicidio consumato nel 1991 nelle campagne di Sinnai, nella Città metropolitana di Cagliari. Zuncheddu era stato arrestato perché riconosciuto da Luigi Pinna, l’unico superstite della strage. La svolta è arrivata nell’ultima udienza davanti ai giudici capitolini del processo di revisione: Pinna ha testimoniato in aula che «prima di effettuare il riconoscimento dei sospettati, l’agente di polizia che conduceva le indagini mi mostrò la foto di Beniamino Zuncheddu e mi disse che il colpevole della strage era lui». Pinna ha anche ammesso di non aver realmente visto in faccia Zuncheddu perché l’assassino l’8 gennaio del 1991 aveva il volto nascosto da una calza. Oltre a questa nuova versione i giudici hanno tenuto conto anche di una ulteriore “nuova prova” rappresentata dalle intercettazioni ambientali e telefoniche in grado di riscrivere definitivamente la realtà processuale.
Per il caso di Zuncheddu si era mossa l’intera comunità di Burcei, suo paese natale, a partire dal sindaco Simone Monni, con manifestazioni e presidi in paese e davanti al tribunale di Cagliari, insieme alla Garante regionale delle persone private della libertà personale, Irene Testa. In campo anche il Partito Radicale che ha promosso diverse manifestazioni, l’ultimo un sit-in davanti al tribunale di Roma in occasione dell’udienza del processo di revisione.
Burcei ieri ha accolto con entusiasmo Beniamino. Irene Testa è andata in carcere a Uta per prenderlo e portarlo in paese dove si è svolta una grande festa. Beniamino e la sua gente hanno tutto il diritto di festeggiare, dovrebbero poterlo fare per trent’anni. Per il sistema invece, quello giudiziario in primis ma anche la politica, il caso Zuncheddu dovrebbe far riflettere. Dalla condanna definitiva di Beniamino, il 16 giugno 1992 in Corte d’assise d’appello, alla richiesta di revisione del processo nel novembre del 2020, sono passati davvero troppi anni per un caso che si reggeva fin dal principio su una sola e decisiva testimonianza, la stessa che appena sottoposta a tardiva verifica si è rivelata inconsistente.
Nel 2022 sono stati 547 i casi di ingiuste detenzioni ed errori giudiziari. In crescita anche la spesa per indennizzi e risarcimenti che sempre nel 2022 ha superato i 37milioni. Dal 1991 al 2022 gli errori giudiziari hanno coinvolto ben 30mila persone. Quanti altri Zuncheddu sono ancora in carcere in attesa di una giustizia giusta?